Gobbo F., Flaminio B., Fincato A., Baldasso E., Santone C., Catania S.
Le specie appartenenti al genere Mycoplasma spp. includono microrganismi considerati opportunisti e patogeni del Regno Animale e Vegetale e la loro coltivazione in vitro risulta “fastidiosa”; sono organismi unicellulari privi di parete cellulare e tale caratteristica limita l’utilizzo di alcune famiglie antibiotiche nel trattamento delle micoplasmosi.
Nel settore avicolo industriale rivestono un ruolo particolarmente importante il Mycoplasma gallisepticum (MG), il Mycoplasma synoviae (MS) e recentemente nel settore del tacchino da carne il Mycoplasma iowae (4).
In particolare il Mycoplasma synoviae può causare, nel settore da carne, forme respiratorie ed articolari con conseguente incremento degli scarti al macello, mentre nel settore della gallina ovaiola è stato recentemente associato a lesioni apicali del guscio con importanti implicazioni economiche (1, 2). Inoltre la diffusione di questo patogeno sembra essere in aumento sia nel territorio nazionale che in quello comunitario (5, 6). Tale evidenza sottolinea che le misure applicate fino ad oggi, basate essenzialmente sulla gestione di gruppi di riproduttori Mycoplasma-free, sulla attuazione di rigide misure di biosicurezza e di profilassi indiretta, non siano più efficaci nella gestione del controllo di questo patogeno.
Sulla base di queste considerazioni l’approccio terapeutico rimane spesso l’unico mezzo per la gestione del focolaio, ma spesso non è accompagnato dall’isolamento del ceppo e da prove di farmaco-suscettibilità in vitro.
La concentrazione minima inibente MIC (Minimum Inhibitory Concentration) è la più bassa concentrazione di una sostanza antibiotica in grado di inibire la crescita visibile o il metabolismo di un microrganismo in vitro e tale metodo è considerato il “gold standard” tra tutti gli AST (Antimicrobical Susceptibility Tests) poiché fornisce indicazioni di natura quantitativa, consentendo al clinico una migliore gestione della scelta del farmaco e del regime terapeutico da applicare ad ogni singolo focolaio.
Inoltre, recentemente la Commissione Europea richiede una rivisitazione dell’utilizzo del farmaco a causa delle sempre più frequenti segnalazioni di farmaco-resistenza acquisita in seguito a pressione selettiva, soprattutto per antibiotici “criticamente importanti”per la salute umana (fluoroquinoloni, cefalosporine e macrolidi). La MIC è uno strumento capace di ottemperare a tali richieste promuovendo un più coscienzioso utilizzo del farmaco e permettendo il monitoraggio dello sviluppo di farmaco-resistenze.
Sfortunatamente pochi sono gli studi di natura epidemiologica sui micoplasmi di interesse veterinario, non consentendo di avere una panoramica dei ceppi circolanti in determinate micro-e macroaree e una correlazione tra forme cliniche (patotipi), antibiotico suscettibilità e categoria avicola di provenienza. Attualmente in letteratura il Mycoplasma synoviae è distinto in gruppi sulla base della sequenza nucleotidica di una specifica regione del gene vlhA che codifica per una PRR (Proline Rich Region) (3, 7) appartenente ad una proteina di superficie correlata alla cito-aderenza ed emoagglutinazione. Diversi fenotipi (emoagglutinazione +/-) si sono dimostrati in sede sperimentale responsabili di una diversa patogenicità nello sviluppo di lesioni articolari nel pollo (8). Ad oggi i genotipi riportati sono 6 (A, B, C, D, E, F), per il tipo C è stata fatta un’ulteriore suddivisione in sottotipi (C1, C2, C3, C4, C5 e C6) in base all’identità di sequenza nucleotidica di un’altra regione del medesimo gene (RIII) (7).
Sulla base di tali considerazioni ci siamo proposti di analizzare la MIC di 20 ceppi di campo di Mycoplasma synoviae, provenienti da differenti categorie produttive industriali e cercando una possibile correlazione tra genotipo (vlhA), categoria produttiva e suscettibilità antimicrobica.