Casalino G., D’Amico F., Napoletano V ., Camarda A., Bove A., Dimuccio M.M., Dinardo F.R., Lombardi R., D’Onghia F., Circella E.
Le attività antropiche inducono sugli ecosistemi effetti spesso negativi, come inquinamento e innalzamento delle temperature a livello globale (Harley, 2011; Supple e Shapiro, 2018). Inoltre, l’attività venatoria, soprattutto se non praticata correttamente, mette sotto pressione le popolazioni di animali selvatici in natura.
L’eccessivo sfruttamento dei terreni agricoli, spesso adibiti a monocolture, ha portato all’alterazione degli habitat naturali. L’uso dei pesticidi in agricoltura porta ad una riduzione della disponibilità trofica per le specie insettivore oltre che a possibili eventi tossici (Sell et al., 2022). Tutti questi fattori comportano l’affluenza di numerosi esemplari selvatici ritrovati in condizioni di difficoltà presso centri di recupero per la fauna selvatica. In tali centri è importante curare gli animali pervenuti ma anche monitorare agenti potenzialmente patogeni per l’uomo, al fine di tutelare il personale impegnato nelle pratiche riabilitative degli animali. Tra i potenziali patogeni che possono essere veicolati dagli animali vi sono Campylobacter (C.) jejuni e C. coli che, nell’uomo, sono responsabili di sindromi gastroenteriche con dolore addominale, diarrea, nausea e febbre (Skirrow e Blaser, 2000; Moore et al., 2006) ma anche forme extra-intestinali come batteriemia, meningite, pancreatite, colecistite, nefrite, miocardite, epatite (Blaser e Engberg, 2014). Inoltre, la sindrome di Guillan-Barrè, grave patologia neurologica (Yuki, 2012) e una sua variante, la sindrome di Fisher Miller (Heikema et., 2013), la sindrome di Reiter, una spondiloartropatia (Blaser e Engberg, 2014) sono tutte forme autoimmuni associate a C. jejuni. Sebbene il pollame sia uno dei serbatoi più importanti di Campylobacter e la campylobacteriosi nell’uomo sia legata prevalentemente al consumo di carne di pollame contaminata (Sahin et al., 2015), gli animali da compagnia (Dipineto et al., 2017) e i selvatici possono esserne portatori (Jurado-Tarifa et al., 2016; Molina-Lopez et al., 2011). Tra le specie selvatiche, Campylobacter è stato identificato in mammiferi selvatici, come roditori, cervidi, cinghiali e procioni, ma anche in volatili sia allo stato libero che ospitati presso centri di recupero. Gli obiettivi di questo lavoro sono stati: (i) indagare sulla presenza di C. jejuni e C. coli tra i volatili selvatici ospitati presso l’Osservatorio Faunistico Regionale della Puglia, e (ii) valutare la sensibilità agli antibiotici dei ceppi isolati.