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La malattia di Newcastle (ND) è una tra le patologie virali più diffuse al mondo e l’entità dei danni che può provocare in termini di perdite economiche nella filiera avicola è comparabile a quella di malattie quali l’influenza aviaria e la bronchite infettiva (Kapczynski et al., 2013). In Italia la vaccinazione proilattica è divenuta obbligatoria a seguito dell’epidemia di NDV nel 2000 (Capua, et al., 2002), e successivamente il Ministero della Salute con nota 0005266-03/03/2015-DGSAF ha rinnovato la gestione del piano vaccinale definendo l’utilizzo di vaccini vivi attenuati, inattivati o combinazioni di essi in funzione della specie e della tipologia produttiva.
Questi schemi di vaccinazione presentano tuttavia alcune criticità; la modalità di somministrazione e l’interferenza degli anticorpi materni, per esempio, sono fattori che spesso ne compromettono l’efficacia. Inoltre, mentre da una parte i vaccini vivi per ND possono, in alcuni contesti, favorire l’insorgenza di forme respiratorie; dall’altra i vaccini spenti comportano non solo un significativo aumento dei costi legati alla manodopera, soprattutto in animali di grandi dimensioni come il tacchino da carne, ma anche un incremento del rischio di introduzione in azienda di altri patogeni tramite il personale delle squadre di vaccinazione.
Le nuove tecnologie in campo farmaceutico hanno messo a disposizione un vaccino ricombinante che utilizza l’Herpesvirus dei tacchini (HVT) come vettore per l’espressione del gene della proteina di fusione (F) dell’NDV (Palya et al., 2012). Tale vaccino sfrutta la capacità dell’HVT di replicare nei linfociti e di persistere all’interno dell’ospite determinando così un costante stimolo antigenico a seguito di una unica somministrazione (Palya et al., 2014). Inoltre, grazie a questo meccanismo, il vaccino HVT-ND conferisce un’immunità di tipo cellulo-mediata oltre che umorale (Esaki et al., 2013).
In questo studio abbiamo valutato in tacchini da carne a ine ciclo l’efficacia protettiva della vaccinazione con l’HVT-ND rispetto ad un protocollo vaccinale per ND comunemente utilizzato in campo. Due gruppi di tacchini, maschi e femmine, sono stati suddivisi a seconda della vaccinazione ricevuta nelle rispettive aziende, ovvero secondo schema tradizionale o con HVT-ND, e successivamente infettati con una dose letale di un ceppo velogeno di NDV.
2017 – ADENOVIRUS DI TIPO II IN FARAONE CON SPLENITE ED ENTERITE EMORRAGICA. CASO CLINICO
All’interno del gruppo Adenovirus di tipo II o genere Siadenovirus vengono classificati virus aviari sierologicamente e genotipicamente molto simili tra loro che possono causare gravi patologie nel tacchino, fagiano e pollo, con manifestazioni cliniche e patologiche differenti a seconda della specie colpita (enterite emorragica del tacchino, marble spleen disease del fagiano, splenomegalia del pollo). A partire dagli anni ’80 sono stati riportati alcuni casi di infezione naturale nella specie faraona (Numida meleagris) con lesioni macroscopiche ed istopatologiche in comune con la marble spleen disease (MSD) del fagiano e la splenomegalia del pollo, riprodotte in condizioni sperimentali mediante l’inoculo sia del virus del tacchino che quello del fagiano. In particolare in Italia, tali lesioni sono state riscontrate in diversi casi nei primi anni ’90, in cui è stato inoltre evidenziato un Adenovirus in microscopia elettronica da milza e sieroconversione all’AGID test diretto all’antigene del virus dell’enterite emorragica del tacchino. Nonostante questi dati, la presenza di questa malattia nella faraona e la natura dell’infezione sono ancora poco conosciute, inoltre non vi sono dati sulla possibile applicazione di metodiche diagnostiche rapide e sensibili recentemente sviluppate per le altre specie. Pertanto lo scopo del presente lavoro è quello di descrivere un caso di infezione di campo recentemente diagnosticato in un allevamento commerciale di faraone in Veneto (marzo 2017), caratterizzato dalla co-presenza di splenite ed enterite emorragica e in cui sono state applicate metodiche diagnostiche recentemente implementate per il virus dell’enterite emorragica del tacchino, quali real time RT-PCR (rRT-PCR) e ELISA.
2017 – IDENTIFICAZIONE DI MARKER MOLECOLARI PER LA DIFFERENZIAZIONE DI UN VACCINO IBV GENOTIPO QX
Il virus della bronchite infettiva aviare (IBV) è diffuso in tutto il mondo e determina gravi perdite economiche nell’industria avicola. IBV colpisce principalmente il pollo, causando problemi respiratori, ed in alcuni casi, renali e riproduttivi (Jackwood and de Wit 2013). La malattia è controllata principalmente con l’uso di vaccini vivi attenuati. Durante il processo di attenuazione i vaccini vivi attenuati perdono la loro patogenicità, rimanendo tuttavia in grado di stimolare una risposta immunitaria proteggente nell’ospite (Bijlenga et al., 2004; Gelb et al., 1983). In campo circolano diversi genotipi di IBV e generalmente la vaccinazione con genotipo omologo determina un’ottima protezione.
Alcuni genotipi circolano per un periodo limitato di tempo (Jackwood 2012; de Wit et al., 2011), altri diventano endemici e richiedono la messa a punto di vaccini omologhi per il loro controllo. Il genotipo QX isolato per la prima volta in Cina e in seguito in Europa circa vent’anni fa (YuDong et al., 1998) e recentemente classificato come lineage GI-19 (Valastro et al., 2016), ha reso necessaria la produzione di vaccini omologhi.
La circolazione di ceppi vaccinali rende difficile stabilire l’effettiva prevalenza dei genotipi di IBV circolanti nelle diverse aree. Uno studio epidemiologico condotto in Italia tra il 2012 e il 2014, ad esempio, ha dimostrato come, dopo la sospensione dell’impiego del vaccino 793B, non sia stato più possibile evidenziare questo genotipo di IBV in campo, supportando l’ipotesi che i ceppi circolanti fossero tutti di origine vaccinale (Franzo et al., 2014). Molte situazioni non sono così delineate ed un’indagine epidemiologica corretta può essere ostacolata dall’impossibilità di distinguere in maniera univoca tra i ceppi di campo ed i vaccini. L’impiego di tecniche molecolari ha reso questa differenziazione relativamente semplice, ma solo nel caso in cui ci sia possibilità di avere accesso ai ceppi progenitori da cui originano i vaccini. Il paragone tra le sequenze di un vaccino e del suo ceppo progenitore permette, infatti, di identificare i marker vaccinali, ovvero le mutazioni avvenute durante il processo di attenuazione, uniche di quello specifico vaccino.
Nel presente lavoro sono stati sequenziati per intero il genoma del ceppo vaccinale L1148 genotipo QX e del suo ceppo progenitore 1148-A. L’analisi delle mutazioni avvenute durante il processo di attenuazione ha portato all’identificazione dei marker vaccinali specifici, indispensabili per differenziare il ceppo vaccinale ed i ceppi di campo ed avere un quadro reale della circolazione del genotipo QX in campo.
2017 – UTILIZZO DI ALCUNI ESTRATTI VEGETALI NEL BROILER: INFLUENZA SULLO STATO SANITARIO E SULLE PERFORMANCES PRODUTTIVE
Con il 1 gennaio 2006 sono stati proibiti gli antibiotici promotori di crescita.
Questi antibiotici avevano permesso, negli anni passati, di ottenere ottimi risultati produttivi, in particolare grazie alla loro azione benefica sul tratto digerente; per contro, il loro utilizzo prolungato, ha portato all’insorgenza di alcuni problemi quali lo sviluppo di batteri resistenti ai farmaci (Sorum e Sunde, 2001), la presenza di residui antibiotici nelle carni avicole e uno squilibrio della normale microflora intestinale (Andremont, 2000).
Con la proibizione del loro utilizzo, la ricerca si è indirizzata sempre di più su molecole alternative totalmente naturali, che potessero, in qualche modo, svolgere funzioni simili. L’attenzione è focalizzata, in particolare, sui metaboliti secondari delle piante, ovvero composti presenti solo in specifici organismi o gruppi di organismi. Le principali classi di metaboliti secondari comprendono: polichetidi e acidi grassi, fenoli, terpeni e steroidi, fenil propanoidi, alcaloidi, amminoacidi e peptidi specializzati, carboidrati specializzati (Hanson, 2003).
La presente sperimentazione ha come scopo la valutazione degli effetti di un additivo contenente estratti di piante, quali tè verde (Camelia sinesis) e melagrana (Punica granatum), ricchi in polifenoli, sulle performances di crescita e sulla salute di polli da carne.
In particolare è stata valutato l’effetto che tale associazione ha sulle capacità di controllare l’infezione da coccidi, in sinergia con i comuni additivi anticoccidici utilizzati negli allevamenti nazionali.
2017 – OSSERVAZIONI SULLA PRESENZA DI CAMPYLOBACTER TERMOFILI NELLE STRUTTURE DI ALLEVAMENTO E NEI BROILERS
I Campylobacter termofili costituiscono un grave rischio per la salute umana in quanto principale causa di tossinfezione nelle popolazioni degli Stati Membri dell’Unione Europea (circa 230.000 casi nel 2015). La carne avicola è considerata la principale fonte di contaminazione per l’elevata prevalenza che questi batteri hanno negli allevamenti avicoli, soprattutto broilers. Già nel 2008, l’Unione Europea aveva condotto un’indagine con lo scopo di verificare la prevalenza di Campylobacter in carcasse di pollo. A questa ricerca hanno aderito ben ventisei Stati Membri dell’Unione Europea, oltre a Norvegia e Svizzera. Il batterio, in ogni paese partecipante, era stato isolato dalle carcasse di pollo da carne con una prevalenza media pari al 75,8%. Diversi studi sono stati intrapresi per diminuire la contaminazione delle carcasse al macello anche in funzione di una imminente direttiva europea che isserà dei limiti di contaminazione nelle carcasse degli animali macellati. Varie ricerche condotte e le numerose opinioni di esperti degli ultimi 25 anni, indicano infatti che il controllo del Campylobacter nella catena di produzione della carne di pollo, partendo dall’allevamento, dovrebbe ridurre la Campylobatteriosi umana (Tustin et al., 2011). Lo scopo del nostro lavoro è stato quello di indagare l’andamento della contaminazione degli animali e delle strutture di allevamento al ine di identificare le possibili fonti di origine del batterio e le eventuali misure di prevenzione da adottare per evitare l’infezione da Campylobacter termoili nei broilers.
2017 – CONFRONTO TRA DUE SISTEMI DI CONTROLLO DELLA COCCIDIOSI NELLA POLLASTRA LEGGERA: OSSERVAZIONI DI CAMPO
La coccidiosi è una malattia parassitaria causata da protozoi che infettano numerose specie animali. In particolare, i coccidi che colpiscono gli avicoli fanno parte del Phylum Apicomplexa, genere Eimeria e comprendono nove specie: E. acervulina, E. brunetti, E. hagani, E. maxima, E. mitis, E. mivati, E. necatrix, E. preacox e E. tenella.
La coccidiosi in allevamento è praticamente impossibile da eliminare, in quanto è ubiquitaria, possiede un’elevata diffusione ambientale ed un alto grado di resistenza alle diverse condizioni atmosferiche e ai disinfettanti. I coccidi, una volta ingeriti, si sviluppano e moltiplicano rapidamente all’interno delle cellule epiteliali del tratto intestinale per poi essere nuovamente espulsi sotto forma di oocisti, che infettano altri animali e l’ambiente circostante.
La gravità della malattia può essere influenzata da diversi fattori tra cui il parassita e il genotipo dell’ospite, la numerosità e l’età della dose di oocisti, il sistema di gestione del pollame, il livello significativo di oocisti sporulate e la precedente storia di esposizione (Blake, 2015).
La coccidiosi è tipica degli allevamenti ad alto indice di affollamento ambientale, come i moderni allevamenti avicoli intensivi, in particolare quelli a terra (Asdrubali et al., 1996). Gli animali più colpiti sono i soggetti giovani: dopo il primo contatto essi sviluppano un’immunità e rimangono protetti contro ulteriori infezioni. La prevenzione e il controllo di questa patologia parassitaria si deve basare innanzitutto su una corretta gestione dell’allevamento, seguendo le norme di biosicurezza e i vuoti sanitari. Altri metodi per prevenire la coccidiosi sono l’utilizzo di molecole anticoccidiche, che possono essere coccidiostatici o coccidiocidi, con una somministrazione continua o di breve durata oppure si può ricorre alla vaccinazione. Particolare attenzione va riservata alla profilassi anticoccidica nelle pollastre leggere dato che è vietata la somministrazione di molecole anticoccidiche alle galline ovaiole in produzione.
Lo scopo di questo lavoro è stato quello di valutare la prevenzione della coccidiosi attuata in un allevamento di pollastre leggere utilizzando due diversi approcci: terapia di 2 giorni con una molecola anticoccidica confrontata con la vaccinazione.
2017 – LA M.I.C. UTILE STRUMENTO DI MONITORAGGIO DELL’ANTIBIOTICO SENSIBILITÀ. L’ESPERIENZA CON IL MYCOPLASMA GALLISEPTICUM
Mycoplasma gallisepticum (MG) è considerato un importante patogeno respiratorio della specie pollo, tacchino e delle specie avicole definite minori. Nel pollo è responsabile della CRD (Chronic Respiratory Disease) e nel tacchino della Sinusite Infraorbitale Infettiva. Nella gallina ovaiola è responsabile di forme respiratorie, che possono essere associate, in funzione della patogenicità del ceppo, anche a importanti seppur temporanei cali della ovodeposizione. Come per altri micoplasmi aviari la trasmissione può avvenire per via orizzontale (tramite contatto diretto od indiretto) e per via verticale, ed una volta instaurata l’infezione, la malattia ha la tendenza alla cronicizzazione. In corso di infezione gli indici di morbilità sono elevati mentre gli indici di mortalità possono essere variabili (in funzione dell’età dei soggetti e della copresenza di altri agenti infettivi virali o batterici o a specifiche condizioni ambientali, quali elevata densità animale, ventilazione, qualità della lettiera). L’impatto economico è nella maggior parte dei casi associato ad un aumento degli scarti al macello principalmente per le infezioni secondarie alla micoplasmosi (in primis E. coli), inoltre gli animali affetti possono presentare un calo del consumo di alimento e un peggioramento dell’indice di conversione alimentare. Ulteriori costi sono relativi al contenimento della forma clinica da MG o a quelli legati all’insorgenza di infezioni batteriche secondarie (E.coli, Ornithobacterium rhinotrachealis, Riemerella spp., etc.). Consci del suo importante ruolo patogeno e delle conseguenti perdite economiche, il controllo di questo patogeno è sempre stato di primaria importanza nei vari settori produttivi industriali e nello specifico nel settore da riproduzione mediante la costituzione ed il mantenimento di gruppi MG-free. Tale pratica gestionale ha sempre rappresentato un punto cardine nella strategia di controllo di questo patogeno e degli altri micoplasmi importanti per l’industria avicola, inoltre l’attuazione di specifici piani nazionali di controllo ed eradicazione nei confronti di MG hanno portato ad una notevole diminuzione della sua prevalenza in diversi paesi europei o extraeuropei. In recenti pubblicazioni da parte di autori appartenenti al continente africano ed asiatico si evince invece come il Mycoplasma gallisepticum rappresenti ancora un importante patogeno ad elevato impatto economico-sociale. La strategia di controllo delle micoplasmosi respiratorie può includere, in funzione della situazione epidemiologica e della realtà produttiva o di altri fattori di natura commerciale, la messa in atto di una o più azioni (eradicazione-depopolamento, compartimentalizzazione, biosicurezza, profilassi indiretta-vaccinazione e terapia antibiotica mirata). Data l’importante forma clinica che si può sviluppare nel gruppo affetto e la possibilità di insorgenza di infezioni secondarie, il trattamento antibiotico per MG può essere considerato una prassi consolidata specialmente nel settore da carne. Trovandoci di fronte ad una puntuale e corretta richiesta di un uso razionale del farmaco da parte delle istituzioni nazionali e comunitarie, per il Medico Veterinario risulta di fondamentale importanza conoscere la sensibilità in vitro agli antimicrobici dei ceppi patogeni circolanti. Tale approccio è volto a garantire il successo terapeutico e benessere animale nel gruppo affetto, evitare l’utilizzo di farmaci considerati non efficaci sulla base dei risultati degli studi in vitro o nello specifico non operare ulteriori pressioni selettive per farmaci o classi di antibiotici che presentano evidenza di diminuita suscettibilità nel tempo e soprattutto per quelli antibiotici considerati “critically important”. A tal ine, per avere una stima della sensibilità o della resistenza di un determinato microrganismo agli antimicrobici, si può utilizzare il calcolo della M.I.C. (Minima Concentrazione Inibente), poiché considerata dalla comunità scientiica il gold-standard tra gli ASTs (Antimicrobial Susceptibility Tests). Inoltre tale metodica è l’unico AST applicabile a microrganismi fastidiosi come i micoplasmi. Il laboratorio di medicina aviare effettua lo studio di MIC in micoplasmi aviari e di altri settori zootecnici dal 2010, ciò ha consentito l’istituzione di un database interno la cui valutazione ha consentito di evidenziare presenza/assenza di efficacia per determinate molecole antibiotiche e di valutare nel tempo eventuali fluttuazioni della sensibilità dei ceppi circolanti nei confronti di specifici antibiotici o classi di antibiotici. Ne consegue che tale test laboratoristico possa rappresentare un’utile risorsa a supporto delle attività professionali del veterinario di campo. Lo scopo del presente lavoro è quello di condividere l’applicazione di uno strumento dinamico come la M.I.C. per la valutazione e il monitoraggio della antibiotico sensibilità di ceppi patogeni dell’industria avicola italiana e nello specifico di Mycoplasma gallisepticum.
2017 – PREVALENZA DELL’INFEZIONE DA EMOPARASSITI IN SPECIE DI AVIFAUNA SELVATICA IN EMILIA ROMAGNA
Le infezioni parassitarie esercitano una forte pressione di selezione nei confronti dei loro ospiti e sono responsabili delle dinamiche coevolutive dei meccanismi di difesa dell’ospite e dell’adattamento del parassita a questi (Dieckmann 2002).
Numerosi studi, europei e mondiali, riguardanti la ricerca di emoparassiti nell’avifauna selvatica e no (Al-Barwari and Saeed 2012), hanno riportato che oltre il 50% delle diverse specie di uccelli esaminati risulta infetto; gli emoparassiti più frequentemente ricercati e studiati appartengono ai tre generi Plasmodium, Haemoproteus e Leucocytozoon, (Atkinson and van Riper 1991) tutti trasmessi mediante la puntura di insetti ematofagi vettori. Clinicamente, negli uccelli selvatici, tali infezioni possono risultare inapparenti o presentarsi con sintomi blandi quali inappetenza, dimagrimento e debolezza, che possono essere riscontrati più frequentemente negli animali giovani (Ozmen and Haligur 2005; Zhang et al. 2014). Inoltre, è importante tener conto del fatto che molto spesso tali ospiti sono infettati simultaneamente da diverse specie di parassiti e che proprio queste coinfezioni sono tra le maggiori cause dell’evoluzione della virulenza (Arriero and Moller 2008).
Per quanto concerne l’Italia, gli unici dati disponibili sull’argomento sono stati riportati in due recenti lavori dell’Università di Torino che riportano la prevalenza di questi generi di emoparassiti in piccioni e cornacchie grigie abbattuti nella suddetta provincia (Scaglione et al. 2015; Scaglione et al. 2016).
Nel nostro studio, per la prima volta, abbiamo osservato la distribuzione e la prevalenza di Haemoproteus spp./Plasmodium spp. e Leucocytozoon spp. in columbidi e corvidi rinvenuti sul territorio della provincia di Forlì- Cesena nell’ambito del Piano di Monitoraggio Sanitario della fauna selvatica in Emilia Romagna.
2017 – CRITICITÀ DELLA DIAGNOSI MOLECOLARE PER LA BRONCHITE INFETTIVA AVIARE
La Bronchite Infettiva aviare (IB) è una malattia virale diffusa in tutto il mondo, secondaria come impatto economico per l’industria avicola solamente all’inluenza aviaria. E’ caratterizzata da alta morbilità e capacità di trasmettersi rapidamente tra allevamenti diversi.
Il virus della Bronchite Infettiva è un coronavirus e, come tutti i virus a RNA, presenta un alto grado di diversità̀ genetica che deriva da un’alta frequenza di mutazioni e ricombinazioni che danno vita a differenti genotipi virali con caratteristiche patogenetiche e biologiche differenti.
Il genoma dei coronavirus è il più̀ grande genoma non-segmentato tra i virus a RNA attualmente conosciuti ed è costituito da un singolo ilamento di RNA lineare, approssimativamente di 27.5-28 Kbp di lunghezza, a polarità̀ positiva (ssRNA+) che, combinandosi con il capside, forma un nucleocapside a simmetria elicoidale. Il genoma è suddivisibile in open reading frame (ORF) che hanno il compito di codiicare un complesso di proteine strutturali (per esempio S, E, M, N) e non-strutturali (per esempio NSPs 2–16, 3a, 3b, 5a, 5b). La glicoproteina S è costituita da una serie ordinata di due subunità: l’estremità N-terminale (S1 di 520 amminoacidi) che svolge una funzione di legame al recettore cellulare e l’estremità̀ C-terminale (S2 di 625 amminoacidi) che permette la fusione con la membrana e il rilascio del virus nel citoplasma.
Come prevedibile, in funzione del suo ruolo biologico e della posizione nella struttura virale, questa proteina rappresenta anche il principale target della risposta immunitaria sia umorale che cellulo-mediata. Rappresenta infatti il principale epitopo immunostimolante e neutralizzante. Questa alta pressione selettiva giustiica l’estrema variabilità̀ della proteina S. Per classiicare il virus della Bronchite Infettiva sono stati proposti vari metodi: i più̀ comuni prendono in considerazione il sierotipo e il genotipo.
– Classiicazione in sierotipi: tradizionalmente i sierotipi sono stati identiicati per mezzo test di neutralizzazione su uova embrionate di pollo o di inibizione dell’emoagglutinazione (HI).
– Classiicazione in genotipi: per la classiicazione si utilizza la tecnica della reverse transcriptase polymerase chain reaction (RT-PCR) al ine di ampliicare il gene S o una parte di essa, che viene successivamente sequenziata.
Questo lavoro si propone di fornire una sintesi delle criticità della diagnostica molecolare per l’IB e fornire alcuni suggerimenti per un corretto approccio diagnostico.
2017 – MYCOPLASMA SYNOVIAE: UN OTTIMO ESEMPIO DI PATOGENO ADATTABILE ALLE CONDIZIONI DELL’OSPITE. CASO CLINICO
Mycoplasma synoviae (MS) è una delle specie di micoplasmi considerate rilevanti per il comparto avicolo industriale, poiché la sua presenza può contribuire a determinare importanti ripercussioni in termini produttivi. Nel settore della gallina ovaiola, negli ultimi anni tale microrganismo è stato oggetto di particolare attenzione a causa delle anormalità del guscio ad esso correlate (Catania et al., 2010, 2016; Feberwee et al., 2009). Recentemente, Catania e collaboratori (2016) hanno dimostrato, mediante infezione sperimentale, che non tutti i ceppi di MS possono produrre le tipiche lesioni apicali del guscio e che, anche in assenza di lesioni apicali, l’infezione da MS determina una diminuzione del numero delle uova deposte e del loro peso medio, concludendo quindi che l’impatto di MS in tale settore non deve essere solamente correlato alle caratteristiche anomalie.
Sempre nella gallina ovaiola ed in particolare nella fase pollastra, una forma di artrite, deinita amiloide, è stata riportata in nord Europa in cui Enterococcus fecalis e Mycoplasma synoviae erano considerati attori o co-attori della lesione (Landmann & Feberwee, 2001). E’ opportuno precisare che tali lesioni sono state evidenziate anche nel territorio italiano e sulla base della nostra esperienza risultano principalmente correlate ad una infezione da enterococco, dato che i metodi diagnostici in nostro possesso non hanno evidenziato la presenza di MS. Basandoci sia su infezioni sperimentali, sia sull’esperienza di campo possiamo immaginare che la copresenza dei due patogeni possa determinare un aggravamento della situazione clinica, visto che in particolare il Mycoplasma synoviae manifesta il suo potere patogeno in maniera più evidente se in coinfezione (Feberwee et al., 2009; Moronato et al., 2016).
Scopo del presente lavoro è quello di condividere un recente caso clinico in un allevamento di pollastre risultato positivo a MS, dove si è potuta notare un’importante manifestazione clinica con conseguente impatto zootecnico e notevoli perdite economiche solamente in un capannone, mentre nei due rimanenti, seppur in presenza del Mycoplasma synoviae, le manifestazioni cliniche sono state poco evidenti o addirittura trascurabili, così come le perdite economiche ad esso correlate.
Quindi, al ine di veriicare o almeno cercare di chiarire il motivo di tali differenze in termini di risposta clinica/produttiva tra i tre capannoni oggetto di studio, si è deciso di applicare accertamenti diagnostici addizionali.