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In ambito aviare la vaccinazione con vaccini vivi attenuati somministrati in acqua di abbeverata è una pratica molto comune, e nel corso degli anni sono stati sviluppati numerosi vaccini che possono essere impiegati attraverso questa via di somministrazione. Uno dei punti chiave per una buona vaccinazione è la modalità di preparazione della soluzione vaccinale. A questo riguardo la qualità dell’acqua è un elemento essenziale per garantire una corretta vaccinazione, vanno valutati il pH e la presenza di sostanze in grado di inattivare i vaccini, prima fra tutte il cloro, sempre presente nell’acqua di acquedotto ad una concentrazione variabile. Il vaccino vivo attenuato per la Bronchite Infettiva (IB) in particolare risulta essere molto sensibile al cloro (1). Parallelamente alla diffusione dell’uso di acqua di acquedotto, dal punto di vista sanitario più sicura di quella di pozzo, sono stati messi a punto prodotti in grado di migliorare la qualità dell’acqua: portando il pH alla neutralità, inattivando il cloro e chelando alcuni metalli pesanti. Tali prodotti vanno sciolti nell’acqua e lasciati agire una decina di minuti prima di aggiungere il vaccino, ed hanno lo scopo di preservarne la vitalità. Nei vecchi sistemi zootecnici che prevedevano la preparazione dell’acqua medicata in grosse vasche collocate all’inizio dell’impianto idrico di ogni capannone era facile sanificare l’acqua utilizzata per la vaccinazione. Oggi sempre più allevamenti hanno sostituito questo tipo di sistema con pompe dosatrici in grado di aspirare quantità stabilite di acqua medicata estremamente concentrata (soluzione madre), miscelandola all’acqua di acquedotto sino a raggiungere la concentrazione finale richiesta. Questo sistema rende notevolmente più semplice la preparazione di acqua medicata, ma nel caso della somministrazione del vaccino impedisce la sanificazione dell’acqua prima dell’aggiunta del vaccino. Con l’impiego della pompa dosatrice si rende necessario l’aggiunta di prodotti in grado di migliorare la qualità dell’acqua alla soluzione madre del vaccino. Il vaccino viene quindi esposto contemporaneamente ad una concentrazione estremamente elevata di queste sostanze e al cloro. Lo scopo del presente lavoro è simulare in vitro su organocolture di anelli tracheali di embrione di pollo, l’effetto della diluizione in acqua clorata di un preparato del commercio in grado di inattivare il cloro (VAC-Safe®) sulla vitalità di un vaccino vivo attenuato per la bronchite infettiva aviare.
2021 – MOLECOLE VEGETALI NELLA STIMOLAZIONE DELLA FUNZIONALITÀ DI CELLULE DENDRITICHE A VIARIE
L’utilizzo di molecole di origine vegetale è molto comune nel trattamento e nella prevenzione di patologie aviarie. Queste molecole sono da tempo studiate per le loro proprietà antimicrobiche e negli ultimi anni sono sempre più discusse, in letteratura, anche le loro potenzialità immuno-modulatorie [1–3]. Tante problematiche nell’allevamento di specie aviarie derivano da patologie sub-cliniche spesso correlate a stati infiammatori difficilmente diagnosticabili [4–6]. La modulazione del sistema immunitario potrebbe pertanto risultare un approccio chiave nel prevenire l’insorgenza di queste patologie o nel ridurne gli effetti. Tra le cellule coinvolte nella risposta immunitaria ritroviamo le cellule dendritiche (DC), le quali sono uno dei tre tipi di cellule fagocitiche mononucleate ed hanno un importante ruolo sia nell’immunità che nella tolleranza immunologica. Esse si dividono in sottopopolazioni distinte, le DC immature (imDC) e le DC mature (mDC). Le imDC si trovano nei tessuti periferici dove lavorano come sentinelle e facilitano la tolleranza immunitaria [7]. Dopo l’incontro con l’antigene, le imDC subiscono un processo di attivazione diventando così mDC. Le mDC sono necessarie, in modo critico, per l’innesco dei linfociti T naïve. Dopo l’attivazione, le cellule T naïve iniziano a proliferare e differenziarsi in cellule effettrici, necessarie per la promozione della risposta immunitaria adattativa contro i patogeni [8]. Di contro l’induzione di un fenotipo tollerogenico nelle DC, tramite la modulazione della maturazione, permette di ridurre o sopprimere l’innesco della risposta immunitaria, prevenendo stati infiammatori clinici o sub-clinici. Quando una imDC diventa mDC attivata subisce diversi cambiamenti fenotipici e funzionali. Uno dei principali cambiamenti porta all’aumento o alla diminuzione dei marcatori di maturazione, tra cui CD40, CD80, CD83 e CD86. Inoltre, le mDC si caratterizzano per la produzione di citochine e capacità di attivare le cellule T CD4+. La riduzione o la mancata espressione del CD86 dopo l’esposizione ad un agente infiammatorio è correlata invece ad un fenotipo tollerogenico delle DC [9] quindi immunotollerante. La modulazione delle DC, da parte di molecole vegetali è stata già documentata in alcuni studi su cellule di uomo [10,11] e topo [12]. In generale, tali composti vegetali e i loro costituenti possono migliorare la differenziazione delle mDC dai precursori [1] o modulare le funzioni delle mDC stesse per indurre o sopprimere la risposta immunitaria, generando un fenotipo attivato o tollerogenico [13]. Tenendo presente l’importante ruolo e le funzioni delle DC nel sistema immunitario, l’obiettivo di questo studio è stato quello di valutare l’impatto di timolo e estratto di semi d’uva (ESU) sulla differenziazione e maturazione di DC aviarie derivate dal midollo osseo, inducendole ad un fenotipo tollerogenico. Tali molecole sono state messe a confronto con gli effetti del desametasone, un noto antinfiammatorio steroideo, e della colistina, un antibiotico della classe delle polimixine, efficace contro i coliformi (es. Salmonella spp. e Escherichia coli). La colistina, a differenza di altri composti, che agiscono sulla sintesi proteica batterica, come la bacitracina, ha un’azione diretta contro la struttura dell’LPS, rendendola quindi un candidato interessante, per valutare una eventuale inibizione, da parte di un antibiotico, della maturazione delle cellule dendritiche stimolata dal solo LPS e non dalla presenza di un patogeno. Per raggiungere questo scopo, è stato ottimizzato un protocollo per la generazione di DC dai precursori del midollo osseo di pollo. In secondo luogo, tali DC sono state utilizzate come strumento di screening di molecole ad azione antinfiammatoria.
2021 – CIRCOLAZIONE DEL VIRUS DELL’ANEMIA INFETTIVA DEL POLLO NEL BACINO DEL MEDITERRANEO
Chicken Infectious Anemia Virus (CIA V), agente eziologico dell’anemia infettiva del pollo, è un virus a DNA di piccole dimensioni, 2298 nucleotidi (nt), appartenente alla famiglia Anelloviridae, genere Gyrovirus (Rosario et al., 2017). Il genoma è costituito da tre Open Reading Frame che codificano per tre proteine virali denominate: VP1, VP2 e VP3.
VP1 è la proteina del capside (Renshaw et al., 1996), con funzioni nella infezione e replicazione virale. Presenta una regione genomica ipervariabile costituita da 13 amminoacidi (aa) situata in posizione 139-151 (Noteborn et al., 1991), frequentemente esaminata in corso di studi di caratterizzazione molecolare virale (Schat, 2003). Le proteine virali VP2 e VP3 sono non strutturali (Noteborn et al., 1994). La proteina VP2 è implicata nella replicazione virale e nella virulenza (Peters et al., 2006), mentre la proteina VP3, anche chiamata apoptina, induce apoptosi in cellule linfoblastoidi T e cellule mieloidi (Noteborn et al., 1994).
CIA V si trasmette per via verticale ed orizzontale e l’infezione è in grado di provocare una forma clinica quando si verifica nelle prime settimane di vita. Il virus determina anemia e gli animali colpiti presentano depressione, atrofia del timo e del midollo osseo ed emorragie diffuse. Quando l’infezione avviene dopo le 3 settimane di età, la malattia si manifesta prevalentemente in forma subclinica, causando solo una significativa immunosoppressione, che ovviamente accompagna anche la forma clinica. Le cellule target del virus sono gli emocitoblasti nel midollo osseo e i precursori dei linfociti T nel timo (Balamurugan and Kataria, 2006). Ad oggi è conosciuto un unico sierotipo di CIA V (Y uasa and Imai, 1986), tuttavia, sulla base della sequenza nucleotidica della VP1 ed all’analisi filogenetica, è possibile distinguere 4 genogruppi (Ducatez et al., 2006; Ou et al., 2018).
L’obiettivo del presente lavoro è stato caratterizzare dal punto di vista molecolare, mediante sequenziamento della VP1 o del genoma completo, ceppi CIA V provenienti da Grecia, Tunisia ed Italia. I campioni di origine erano costituiti da diverse matrici biologiche raccolte da allevamenti di polli di diversi indirizzi produttivi.
- 2021 – LAMP-LFD: MESSA A PUNTO DI NUOVI PROTOCOLLI PER LA RILEVAZIONE RAPIDA, SENSIBILE E SPECIFICA DEL VIRUS DELLA MALATTIA DI MAREK SIEROTIPO 1 E SIEROTIPO 2 E DELL’HERPESVIRUS DEL TACCHINO Galleria
2021 – LAMP-LFD: MESSA A PUNTO DI NUOVI PROTOCOLLI PER LA RILEVAZIONE RAPIDA, SENSIBILE E SPECIFICA DEL VIRUS DELLA MALATTIA DI MAREK SIEROTIPO 1 E SIEROTIPO 2 E DELL’HERPESVIRUS DEL TACCHINO
2021 – LAMP-LFD: MESSA A PUNTO DI NUOVI PROTOCOLLI PER LA RILEVAZIONE RAPIDA, SENSIBILE E SPECIFICA DEL VIRUS DELLA MALATTIA DI MAREK SIEROTIPO 1 E SIEROTIPO 2 E DELL’HERPESVIRUS DEL TACCHINO
Il virus della malattia di Marek sierotipo 1 (MDV-1 o Gallid alphaherpesvirus 2), un herpesvirus appartenente al genere Mardivirus, è l’agente eziologico della malattia di Marek (MD), una malattia neoplastica a carattere linfoproliferativo del pollo. Il controllo della MD in campo avicolo è basato sulla vaccinazione con ceppi attenuati di MDV-1, come il ceppo CVI988/Rispens, o con ceppi appartenenti allo stesso genere tassonomico ma a due specie virali diverse quali il Gallid alphahervirus 3 o virus della malattia di Marek sierotipo 2 (MDV-2) ed il Meleagrid alphaherpesvirus 1 o herpesvirus del tacchino (HVT). Nessun vaccino ad oggi disponibile per la prevenzione della MD è in grado di impedire l’infezione con ceppi di campo di MDV-1 e la conseguente replicazione ed eliminazione virale: coinfezioni con virus vaccinale e virus di campo sono frequenti negli allevamenti in cui viene applicata la vaccinazione. Di conseguenza è importante poter differenziare i ceppi di campo di MDV-1 dai ceppi vaccinali per potere: (1) confermare il sospetto diagnostico di MD in presenza di sintomatologia clinica o lesioni, (2) monitorare la presenza di ceppi di campo in assenza di sintomatologia clinica o lesioni e (3) confermare il successo vaccinale mediante rilevazione dei virus vaccinali inclusi nel protocollo vaccinale. Mentre la differenziazione fra MDV-1, MDV-2 e HVT risulta semplice per la presenza di geni unici nel genoma di MDV-1 che non trovano omologhi nelle altre due specie virali, la differenziazione tra i ceppi di campo MDV-1 e il ceppo vaccinale CVI988/Rispens risulta essere molto più difficoltosa poiché appartengono alla stessa specie virale e l’organizzazione genomica è totalmente sovrapponibile. Nel corso degli anni sono stati messi a punto svariati test di biologia molecolare (end-point PCR o real-time PCR) per rilevare e differenziare i genomi di MDV-1, MDV-2 e HVT (Handberg et al., 2001; Walkden-Brown et al., 2003; Baigent et al., 2005; Islam et al., 2006; Renz et al., 2006; Cortes et al., 2011). Il numero di metodiche in grado di differenziare i ceppi MDV-1 non vaccinali dai ceppi vaccinali appartenenti alla stessa specie virale (e.g. CVI988/Rispens) è molto più limitato (Gimeno et al. 2014; Baigent et al., 2016, Davidson et al., 2017). Le metodiche di PCR end-point o di real-time PCR sono le più utilizzate per la diagnosi di laboratorio della MD, esse però non sono adatte all’utilizzo in campo in quanto devono essere eseguite da personale formato ed in laboratori attrezzati con apparecchiature dedicate come i termociclatori. La loop-mediated isothermal amplification (LAMP) (Notomi et al., 2000; Nagamine et al., 2002) è una metodica molecolare rapida, specifica, sensibile e di semplice impiego che può superare i limiti delle metodiche molecolari tradizionali (PCR). La LAMP si avvale di una DNA polimerasi con attività di dislocazione del filamento dell’acido nucleico che permette, in condizioni isotermiche di temperatura ed in combinazione con set di oligonucleotidi appositamente disegnati, l’amplificazione esponenziale della sequenza del DNA target sotto forma di ripetizioni concatenate. Essa non richiede l’impiego di apparecchiature sofisticate ma di bagni o blocchi termostati impostati ad una temperatura costante (60-65°C). La metodica LAMP ha una grande specificità intrinseca derivante dall’impiego di un set di sei primer (FIP, BIP, F3, B3, LF, LB) che si appaiano ad otto regioni genomiche della sequenza nucleotidica scelta come target. Esistono diversi metodi per la visualizzazione dei risultati di una amplificazione LAMP (Becherer et al., 2020). Uno dei più diffusi, per il basso costo, la maneggevolezza e la facilità di lettura e di interpretazione del risultato (visualizzazione di linee colorate), prevede l’utilizzo di strip per test immunocromatografici rapidi o dispositivi a flusso laterale (LFD) (Wong et al., 2018). Sono state pubblicate in precedenza alcune metodiche LAMP specie-specifiche in grado di identificare il gene meq o U(L)49 di MDV-1, il gene U(L)50 di MDV-2 o il gene HVT070 di HVT (Angamuthu et al., 2012; Wei et al., 2012; Woźniakowski et al., 2013; Woźniakowski e Niczyporuk, 2015). Il risultato veniva letto attraverso la visualizzazione di un prodotto fluorescente sotto transilluminatori UV grazie all’aggiunta di SYBR green all’amplificato LAMP, oppure attraverso la visualizzazione sotto transilluminatori UV della corsa elettroforetica in gel di agarosio del prodotto LAMP, simile a quella di un ladder.
L’obiettivo del presente studio è stato quello di migliorare le caratteristiche delle metodiche LAMP già esistenti (MDV-1, MDV-2 e HVT) in modo da semplificare la lettura del risultato mediante l’impiego di LFD che velocizzano ulteriormente le tempistiche di analisi e non richiedono l’impiego di termociclatori o transilluminatori. Essendo nota l’elevata tolleranza agli inibitori della metodica LAMP (Francois et al. 2011), le metodiche sopracitate sono state testate su campioni di organi, penne e polveri sottoposti a trattamento termico e centrifugazione, bypassando l’estrazione del DNA genomico con kit commerciali. Sono infine stati messi a punto e validati due nuovi protocolli LAMP con approccio DIVA (Differentiating Infected from Vaccinated Animals) in grado di differenziare fra loro il vaccino HVT ricombinante Vaxxitek® ed il vaccino CVI988/Rispens e di distinguerli dai ceppi di campo MDV-1 non vaccinali.
2021 – LO STRANO CASO DI UN CEPPO DI MYCOPLASMA GALLISEPTICUM CHE SFUGGE ALLA RIVELAZIONE MEDIANTE PCR END POINT
Mycoplasma gallisepticum (MG) è una delle specie di Mycoplasma considerate più impattanti per il settore avicolo, con importanti ripercussioni sia dal punto di vista sanitario che economico. MG è diffuso in tutto il mondo, infettando principalmente le specie pollo e tacchino. Tuttavia, il patogeno è stato rilevato in altre specie avicole, come la quaglia, il fagiano e l’oca. MG è in grado di diffondersi orizzontalmente attraverso contatto diretto tra animali, con aerosol, polveri e penne. Inoltre, MG può essere trasmesso verticalmente nell’uovo [1]. La malattia a cui il patogeno è storicamente associato è la “Chronic Respiratory Disease” (CRD), caratterizzata da un’infiammazione cronica delle vie aeree, in particolare dei sacchi aerei. Tale processo flogistico ha come conseguenza una minor deposizione di uova, una riduzione della conversione della massa ponderale ed un generale aumento dello scarto al macello nelle linee da carne. Solitamente, il tacchino risulta più sensibile a MG rispetto al pollo [2]. A livello industriale, il mantenimento di gruppi di riproduttori “Mycoplasma-free” risulta la strategia migliore per il contenimento di questo patogeno; ciò viene attuato attraverso un’implementazione di elevati livelli di biosicurezza in allevamento e attraverso un continuo monitoraggio della presenza del patogeno con analisi di laboratorio eseguite con cadenza minima quindicinale [3]. Essendo la rapidità dell’esito un requisito importante in questa fase produttiva, la PCR è considerata la metodica di elezione, seppur sia corretto ricordare che l’isolamento in vitro rappresenta il gold standard per la rilevazione diretta del microrganismo [4]. Il gene target specie-specifico per MG è mgc2 (codificante per una citoadesina), il quale viene amplificato sia con protocolli end point PCR che real-time PCR [4,5]. Questi protocolli sono riportati anche nel manuale degli animali terrestri del World Organisation for Animal Health (OIE) al Cap 3.3.5, recentemente aggiornato. Il gene mgc2, inoltre, è un target ottimale per la differenziazione e la genotipizzazione di MG [6–8].
Qui viene presentato un caso di positività per MG in un allevamento di tacchini industriali ove la metodica end point in uso presso i nostri laboratori si è rivelata inefficace e quindi considerata “cieca” nell’identificazione del patogeno a causa di mutazioni sul sito di legame del primer reverse. L’utilizzo di una PCR alternativa con un nuovo primer reverse ha reso possibile identificare la zona della sequenza mgc2 interessata da mutazione e successivamente rilevare la presenza di MG nei campioni analizzati.
2021 – EFFICACIA E SICUREZZA DI UN VACCINO VIVO PER IL CONTROLLO DELL’ENTERITE EMORRAGICA DEL TACCHINO: STUDIO DI CAMPO E ASPETTI MOLECOLARI
L’enterite emorragica (HE) del tacchino è una malattia virale che colpisce soggetti a partire dalla quarta settimana di vita. L’importanza economica di questa malattia è dovuta alla mortalità da essa provocata, che può raggiungere anche il 60%, ed alla presenza di una immunodepressione transitoria che può favorire l’insorgenza di altre patologie (Saunders et al., 1993). Negli ultimi la malattia si è manifestata in forma subclinica, determinando mortalità solo a seguito di infezioni batteriche secondarie (Giovanardi et al., 2014). L’agente eziologico dell’enterite emorragica è Turkey siadenovirus A (genere Siadenovirus, famiglia Adenoviridae) virus a DNA lineare a doppio filamento, comunemente denominato Turkey Hemorragic Enteritis Virus (THEV). Dal 2018 per il controllo dell’Enterite Emorragica del tacchino è stato introdotto in alcune regioni del nostro Paese, con permesso di importazione temporaneo, un vaccino vivo attenuato ceppo Domermuth.
Il presente lavoro è nato con l’obiettivo di valutare efficacia e sicurezza in campo del suddetto vaccino vivo in gruppi di tacchini vaccinati e non per THEV , mediante score clinico ed anatomo-patologico, rilevazione molecolare del vaccino o del ceppo campo in tamponi cloacali e milze, in corso di studi longitudinali.
2021 – CARATTERIZZAZIONE MOLECOLARE DI CEPPI RIASSORTANTI DEL VIRUS DELLA BURSITE INFETTIVA (IBDV) CIRCOLANTI IN ITALIA
Il virus della bursite infettiva (IBDV) è senza dubbio uno dei patogeni aviari più impattanti a livello sanitario ed economico su scala globale. IBDV appartiene al genere Avibirnavirus della famiglia Birnaviridae, ed è caratterizzato da un genoma a doppio filamento di RNA composto da due segmenti, denominati A e B. Ne sono riconosciuti due sierotipi, chiamati 1 e 2, ma solo il primo è patogeno. IBDV causa una sintomatologia immunosoppressiva, diretta conseguenza del suo tropismo per i linfociti B immaturi localizzati principalmente nella borsa di Fabrizio (Alkie & Rautenschlein, 2016). Nei polli, l’unico ospite suscettibile alla malattia, il periodo di massima suscettibilità va dalle 2 alle 6 settimane, in cui la borsa di Fabrizio è al suo massimo stadio di sviluppo (Ingrao et al., 2013). La manifestazione clinica include sintomi aspecifici come depressione, disidratazione, anoressia e diarrea, con una mortalità estremamente variabile in base al ceppo coinvolto (Mahgoub, 2012). Le lesioni più frequenti comprendono emorragie a livello di muscoli della coscia e pettorali, un aumento del contenuto mucoso intestinale ed emorragie della mucosa della borsa di Fabrizio, la quale dapprima aumenta di volume per poi andare incontro ad atrofia. L’immunosoppressione predispone inoltre a infezioni secondarie e può compromettere l’efficacia della vaccinazione nei confronti di altri patogeni (Eterradossi & Saif, 2021).
Nonostante il grande interesse da parte della comunità scientifica, che fa di IBDV il quarto patogeno maggiormente studiato in ambito avicolo (Bertran et al., 2020), la classificazione di questo virus risente tuttora di una mancanza di standardizzazione e sistematicità. La tradizionale categorizzazione in ceppi classici, varianti e very virulent, è basata infatti su differenze sia in termini di virulenza che di antigenicità, richiedendo l’esecuzione di diversi test, a loro volta scarsamente standardizzati, per un’adeguata caratterizzazione (Jackwood et al., 2018). Un ulteriore punto a sfavore è la difficoltà nel caratterizzare adeguatamente una vasta gamma di ceppi atipici e dalla diffusione geografica spesso circoscritta, il cui ritrovamento è sempre più frequente. La diffusione delle metodiche molecolari, che ormai rappresentano i test più utilizzati a livello diagnostico, offre al contempo nuove opportunità e nuove sfide. Se è vero che esse non permettono una valutazione diretta né della patogenicità né dell’antigenicità, le potenzialità in termini di standardizzazione fanno di esse la piattaforma ideale per una classificazione robusta, informativa e dalla facile condivisione.
Un primo tentativo in tal senso è rappresentato dalla classificazione filogenetica recentemente proposta da Michel & Jackwood (2017), basata su una porzione ipervariabile del gene della proteina virale 2 (hvVP2), di gran lunga la porzione meglio caratterizzata del genoma di IBDV per via della sua centralità nella determinazione della patogenicità (Brandt et al., 2001). Questa classificazione individua sette diversi genogruppi all’interno del sierotipo 1. I genogruppi G1, G2 e G3, includono rispettivamente i ceppi classici, varianti e very virulent, mentre quelli da G4 a G7 raggruppano altrettante varianti atipiche, offrendo quindi una caratterizzazione più precisa dell’eterogeneità di IBDV . Il principale difetto di questa classificazione è che, basandosi solo sulla VP2, sita nel segmento A del genoma, essa non permette di individuare i fenomeni di riassortimento tra diversi segmenti, che gioca un ruolo importante nell’evoluzione genetica di IBDV (Jackwood, 2012; Wu et al., 2020). Una seconda classificazione, proposta da Islam et al. (2021), risolve questo problema prendendo in considerazione non solo la VP2, ma anche la VP1, localizzata sul segmento B del genoma. Vengono così individuati nove genogruppi basati sulla VP2 (A1-A9, largamente corrispondenti con quelli individuati dalla precedente classificazione) e cinque basati sulla VP1. I genotipi così individuati sono finora quindici, corrispondenti ad altrettante combinazioni tra i due segmenti (A1B1, A1B2, ecc.).
Questo lavoro riporta l’identificazione, durante le attività diagnostiche routinarie, di ceppi di campo sinora non riportati in Italia. A seguito del loro ritrovamento, ulteriori indagini sono state svolte per una più precisa caratterizzazione a livello molecolare.
2021 – STUDIO FENOTIPICO E GENOTIPICO DELLA SUSCETTIBILITÀ ALLA COLISTINA DI ESCHERICHIA COLI E SALMONELLA INFANTIS ISOLATI IN POLLI DA CARNE
La colistina appartenente alla classe delle polimixine è un antibiotico attivo nei confronti di numerosi batteri gram negativi ed è stato usato in Medicina Veterinaria per lungo tempo non solo come agente terapeutico e preventivo nelle infezioni da Gram-negativi (Kieffer et al., 2017) ma anche come promotore di crescita in alcune specie di interesse zootecnico (Rhouma et al., 2016; Kumar et al., 2020). Il manifestarsi di forme resistenza nel corso del tempo ne ha causato una limitazione dell’impiego, che attualmente nel pollame è in deroga e subordinato solo a quei casi in cui gli antibiotici testati risultano inefficaci nei confronti del microrganismo isolato.
Recentemente, dopo un periodo di sospensione del suo impiego in umana per i possibili effetti nefrotossici (Lim et al., 2010), si è assistito ad un rinnovato interesse per la colistina come antibiotico “last resort” (di ultima scelta) in Medicina Umana da impiegare in corso di infezioni sostenute da batteri gram negativi multiresistenti, soprattutto Enterobatteriaceae (Biswas et al, 2012; Azzopardi et al., 2013; Poirel et al., 2017). La World Health Organization (WHO, 2018) pertanto ha riclassificato la colistina nella categoria di farmaci di importanza critica per la medicina Umana, giustificando l’esecuzione di più frequenti studi di monitoraggio della resistenza nei confronti di questa molecola mostrata da alcuni batteri tra i quali Salmonella spp. e Escherichia coli diffusi in campo umano e veterinario. Nell’ambito della popolazione di Salmonelle, S. Infantis è considerata un sierotipo emergente a livello europeo, particolarmente diffusa lungo l’intera filiera avicola, non solo negli allevamenti di broiler, ma anche negli allevamenti di tacchini e nei prodotti derivati, configurandosi come il sierotipo più diffuso dopo S. Enteritidis e S. Typhimurium (EFSA, 2019). Recentemente la resistenza alla colistina è stata attribuita al gene, plasmide-mediato, mcr 1 descritto nel 2015 per la prima volta in E. coli (Liu et al., 2016). Da allora in quasi tutti i Paesi del mondo sono stati rilevati i geni mcr-1, mcr-2, mcr-3, mcr-4, mcr-5 con le loro varianti e subvarianti in ceppi di E. coli e Salmonella ssp. isolati nell’uomo, animali ed alimenti di origine animale, a testimonianza della continua evoluzione del meccanismo di resistenza genetica a questa molecola (Borowiak et al., 2017; Kawanishi et al., 2017; Yin et al., 2017; Carfora et al., 2018; Portes et al., 2021). Recentemente in ceppi di S. Typhimurium isolati da suini e vitelli è stato evidenziato anche il gene mcr-9. (Diaconu et al., 2021). Obiettivi del presente lavoro sono stati l’analisi fenotipica della suscettibilità alla colistina, la determinazione di ESBL e la valutazione genotipica della presenza del gene mcr in ceppi di E. coli e S. Infantis isolati da polli da carne.
2021 – VIRUS DELLA BURSITE INFETTIVA AVIARE ED UCCELLI SELVATICI: REVISIONE SISTEMATICA E METANALISI DEI DATI SU SCALA GLOBALE
La bursite infettiva aviare o malattia di Gumboro è causata dall’Infectious bursal disease virus (IBDV) ed è considerata una malattia ad eziologia virale economicamente impattante per il settore avicolo industriale. Ad oggi ne sono riconosciuti due sierotipi: il sierotipo 1 che include ceppi patogeni per il pollo, ed il sierotipo 2, apatogeno per il pollame, naturalmente presente nel tacchino e segnalato in altre specie tra cui l’Eudipte ciuffodorato (Eudyptes chrysolophus (Brandt, 1837)) e la Gru canadese (Antigone canadensis (Linnaeus, 1758)) (Candelora et al., 2010; Gough et al., 2002). Indipendentemente dal ceppo considerato, l’IBDV determina, nel pollo, lesioni alla borsa di Fabrizio causando un’immunosoppressione tanto più rilevante tanto più giovane è l’animale al momento dell’infezione. A partire dagli anni ’80, l’evidenza di positività molecolari, virologiche o sierologiche ad IBDV è stata segnalata in diverse specie di uccelli a vita libera. Nonostante il crescente numero di studi sull’interfaccia avicoli allevati/avifauna selvatica, ad oggi è ancora poco studiato l’eventuale ruolo degli uccelli selvatici nell’epidemiologia dell’IBDV . Questi ultimi, infatti, considerata la loro attitudine a migrare da una parte all’altra del globo, diversa a seconda delle specie e delle popolazioni, sono in grado di trasportare lungo le rotte migratorie anche gli eventuali patogeni di cui sono reservoir o carrier. Inoltre, alcune specie si sono adattate a vivere in ambienti antropizzati, nelle città o nei pressi di allevamenti, agendo da “ponte” tra queste aree e quelle più conservate dove sono presenti specie più schive (Patankar et al., 2021). Sulla base di queste premesse, qui presentiamo la prima revisione sistematica e meta-analisi delle attuali conoscenze riguardo la prevalenza siero-virologica dell’IBDV in avifauna selvatica su scala globale.
2021 – IDENTIFICAZIONE DI UNA NUOVA SPECIE DI CIRCOVIRUS IN UN ALLOCCO (STRIX ALUCO) IN SUD ITALIA
Il genere Circovirus, appartenente alla famiglia Circoviridae, include più di 40 specie di virus icosaedrici, sprovvisti di envelope e caratterizzati da un genoma a singolo filamento circolare di DNA dalla lunghezza compresa tra 1700 e 2300 basi. Viste le dimensioni particolarmente ridotte, vengono considerati come i virus a DNA più piccoli in grado di infettare mammiferi ed uccelli (1). I circovirus di interesse aviario sono stati isolati da diverse specie e, nonostante le molte similarità, sono solitamente caratterizzati da una spiccata specie-specificità. La via di trasmissione principale è quella orizzontale, strettamente correlata alla notevole resistenza delle particelle virali in ambiente, ma in alcuni casi è stata descritta anche la trasmissione verticale. L’ingresso del virus avviene tipicamente tramite ingestione, a cui fa seguito un’infezione del tratto intestinale con conseguente viremia e diffusione ad altri tessuti e organi. L’escrezione virale avviene soprattutto per via fecale. Lo spiccato epiteliotropismo e linfotropismo fa sì che la sintomatologia si possa manifestare con alterazioni del tegumento e/o stati immunodepressivi (2). La specie di circovirus più studiata in ambito aviare è sicuramente beak and feather disease virus (BFDV), responsabile di una malattia nota già alla fine dell’800 e strettamente associata all’ordine degli Psittaciformi. In una fase iniziale, la malattia si manifesta clinicamente con perdita e alterazione/deformazione delle penne a cui fanno seguito anche possibili deformità del becco, da cui deriva il nome di questo agente eziologico. Una manifestazione clinica meno appariscente, ma ugualmente associata alla presenza di questo virus, si evidenzia in giovani animali con crescita rallentata, deperimento e infezioni batteriche secondarie, conseguenti all’azione immunosoppressiva indotta dal virus (3). Altre specie di circovirus sono causa di malattia in specie aviari non appartenenti all’ordine degli Psittaciformi. Anche in questo caso la principale attività patogena si manifesta a livello immunitario. L’immunosoppressione predispone gli animali alla perdita di peso e al deperimento, a cui tipicamente si associa l’insorgere di infezioni secondarie responsabili delle manifestazioni cliniche più evidenti (2, 3). Ad oggi, diverse specie di circovirus sono state descritte in piccioni (Pigeon Circovirus), canarini (Canary Circovirus), gabbiani (Gull Circovirus), oche (Goose Circovirus), anatre (Duck Circovirus), fringuelli (Finch Circovirus), pinguini (Penguin Circovirus), corvidi (Raven Circovirus), stornelli (Starling Circovirus), cigni (Swan Circovirus) e diamanti mandarini (Zebra Finch Circovirus) (1). I circovirus meglio caratterizzati sono quelli che affliggono specie allevate, come animali da cortile o specie ornamentali/canore, in quanto più frequentemente sottoposte ad esame anatomo-patologico e/o indagini molecolari. Di conseguenza, i dati riguardo la presenza e prevalenza di circovirus nell’avifauna selvatica sono particolarmente scarsi, quantomeno in Europa, dove sono limitati alla segnalazione di alcuni focolai in gabbiani, storni e cigni a seguito del ritrovamento di esemplari deceduti. In particolare, per quanto riguarda i rapaci, le informazioni riguardanti la loro diffusione sono quasi del tutto assenti (2). Nel presente studio, la presenza di circovirus è stata indagata in rapaci sia diurni che notturni provenienti dal Sud Italia.