Atti dei convegni

14 Settembre 2016

2016 – SUI TESTICOLI SOPRANNUMERARI NEI GALLETTI DI LINEE LEGGERE

Le segnalazioni di testicoli soprannumerari nel pollame domestico sono molto scarse in letteratura (Katiyar et al., 1986; Hocking, 1992; Onu, 2012), principalmente per il fatto che i galletti, sia giovani che adulti, non sono sottoposti in numero rilevante a controlli autoptici di routine a livello genitale. D’altra parte il controllo dell’apparato genitale maschile interessa solo i gruppi da riproduzione. In Italia è però diffusa la castrazione chirurgica del galletto di poche settimane di vita per la produzione del cappone natalizio, e negli ultimi anni durante questo intervento la visualizzazione delle gonadi maschili ha portato alcuni operatori a notare con una certa frequenza la presenza di testicoli soprannumerari, osservazione in contrasto con gli scarsi dati bibliografici disponibili.
Negli studi che trattano questo argomento, compresi quelli riferiti ad altre specie aviarie (McFarland, 1965; Witt e Bautista, 2011) sono riportati sia casi con coinvolgimento del testicolo destro (Katiyar et al., 1986), sia di quello sinistro (Hocking, 1992). I testicoli accessori vengono descritti, quanto a struttura e consistenza, come normali pur essendo di dimensioni inferiori, e viene inoltre riferita una fertilità inalterata per alcuni dei soggetti interessati (Hocking, 1992). Va però sottolineato che secondo Nickel et al. (1973) negli uccelli il testicolo di sinistra è di regola più grande di quello di destra, ed entrambi sono collocati in corrispondenza del polo craniale del rene. In età prepubere il testicolo di destra è lievemente più craniale rispetto al sinistro (Gallazzi, osservazione personale).
Mentre nei broilers il problema dei testicoli soprannumerari non sussiste, in quanto macellati in età prepubere, nei maschi utilizzati per la produzione del cappone (in genere soggetti di linee genetiche selezionate per la produzione di uova) la presenza di testicoli soprannumerari non sempre visibili dall’operatore comporta l’incompleta neutralizzazione sessuale, influenzando quindi i dati della produzione e delle caratteristiche organolettiche della carne. Infatti la persistenza di testicoli soprannumerari vicarianti le funzioni di quelli asportati chirurgicamente comporta l’estrinsecazione dei caratteri sessuali secondari tipici del maschio, annullando in parte o in tutto l’effetto della castrazione.

14 Settembre 2016

2016 – E.COLI ESPERIENZE CON VACCINO VIVO

I ceppi di Escherichia coli patogeni aviari (APEC) causano ogni anno perdite importanti nell’industria avicola e sono di conseguenza motivo di trattamenti antibiotici per il controllo della mortalità da colibacillosi. Se nei polli da carne e tacchini gli antimicrobici disponibili siano vari, nelle ovaiole i possibili trattamenti si riducono in quanto è di fondamentale importanza il tempo di sospensione che non precluda la commercializzazione delle uova. Inoltre va tenuto conto che spesso Escherichia coli presenta fenomeni di resistenza che limitano il prontuario terapeutico. la sempre maggiore attenzione all’uso razionale degli antibiotici però impone un approccio multifattoriale che tenga conto di possibili alternative all’uso di antimicrobici.
Fino ad oggi poi si pensava che la resistenza verso colistina fosse codificata nel cromosoma (Olaitan et al., 2014), e faceva presumere che non ci fossero rischi di passaggio orizzontale di resistenza. Recenti studi hanno identificato la resistenza a colistina mediata da plasmide (Liu et al. 2015) questo potenzialmente potrebbe portare alla diffusione della resistenza ad altri batteri a livello mondiale (Hasman et al., 2015).Queste osservazioni oltre alla considerazione che colistina è l’antibiotico di elezione in casi di multiresistenza in umana hanno portato all’inteso dibattito della sua limitazione di uso in ambito veterinario.
Nell’ambito delle alternative per il controllo della colibacillosi oltre a programmi di vaccinazione che assicurino una buona immunità verso le patologie e condizioni ambientali che riducano al minimo gli insulti all’apparato respiratorio che possono esacerbare le infezioni da E.coli oggi è possibile utilizzare prodotti immunologici vivi o inattivati che permettono di stimolare l’immunità degli animali verso E.coli patogeni.
Mentre nelle ovaiole l’utilizzo di vaccini inattivati è in uso già per altre malattie ed il costo della mano d’opera è giustificato dal ciclo produttivo dell’animale, nei polli da carne è fondamentale evitare stress aggiuntivi in fase giovanile che potrebbero interferire con il rapido ciclo produttivo di questa categoria.
Già in uno studio multicentrico in Marocco su animali da carne era stato dimostrato che l’uso di un vaccino vivo deleto per il gene aroA con somministrazione spray alla schiusa è sicuro per gli animali. Alla analisi delle performance cliniche e produttive e confrontando animali vaccinati e non, gli animali immunizati mostravano minor lesioni al macello, minor mortalità, maggior incremento di peso giornaliero, e minor necessità di trattamenti antimicrobici (Mombarg et al 2014).
Nel 2014 nuove esperienze in Germania sempre nell’ottica di diminuire l’uso di antimicrobici sono state portate avanti in allevamenti che nonostante le moderne attrezzature e la localizzazione in aree a bassa densità avicola presentavano casi di colibacillosi tra la 3° e la 5 settimana.
Dopo aver controllato i parametri ambientali, ventilazione, igiene degli ambienti e delle linee di abbeverata e il programma luce, il problema continuava ad essere riferibile a infezioni da E.coli di vari sierotipi O78, O1, O18, n.t ed anche ceppi diversi in cicli differenti.
Introducento la vaccinazione con vaccino vivo deleto per il gene aroA via somministrazione spray all’arrivo si è potuto passare da 10 giorni di trattamento medi dei cicli precedenti a 2 giorni, migliorando la mortalità del gruppo e diminuendo la percentuale di scarti al macello.
L’utilizzo di vaccini vivi per E.coli anche nel pollo da carne sebbene abbia un ciclo breve, in allevamentiche presentano problematiche ricorrenti dovute a colibacillosi in un programma di controllo delle condizioni ambientali di allevamento ed di vaccinazione mirato verso i principali patogeni respiratori permette di ridurre la necessità di trattamenti antibiotici e migliorare le performance produttive degli animali.

14 Settembre 2015

2015 – SVILUPPO DI UN METODO DI PROVA PER L’IDENTIFICAZIONE DI ANTICORPI SIERONEUTRALIZZANTI NEI CONFRONTI DEI FOWL ADENOVIRUS A NELLA FARAONA (NUMIDA MELEAGRIS)

Il ruolo patogeno primario dei Fowl adenovirus A (in passato noti come virus CELO-Chicken Embryo Lethal Orphan) nel pancreas di faraone (Numida meleagris) è stato osservato, per la prima volta a livello mondiale, in Italia da Pascucci et al. nel 1970.
Gli autori osservarono una forma morbosa a lenta diffusione in gruppi di 9.000 e 1.200 faraone di età compresa tra 12 e 70 giorni. Nel primo gruppo la morbilità era stata del 50% mentre la mortalità del 4% e all’esame anatomo-patologico si osservava ascite, epato-splenomegalia e un pancreas aumentato di volume, di colorito giallastro con aree di varia forma ed estensione giallo-opache o emorragiche.
Charlton et al. (1995) descrissero un caso clinico sovrapponibile al precedente in un allevamento di 600 faraone di 21 giorni di età che mostravano anoressia, depressione ed aumento della mortalità. I colleghi americani osservarono istologicamente a livello pancreatico grave necrosi, presenza di fibrina, infiltrazione eterofilica, con numerosi corpi inclusi basofili di grosse dimensioni.
Sempre in Nord America, più precisamente in Canada, Zellen et al. (1989) riportarono un episodio di pancreatite da Adenovirus in faraone commerciali di due settimane con relativo isolamento virale in uova di pollo SPF.
Il presente lavoro ha l’obiettivo di mettere a punto un metodo analitico per la rilevazione di anticorpi sieroneutralizzanti da siero di faraone infette, in condizioni naturali, da Fowl adenovirus A.

14 Settembre 2015

2015 – INDAGINI SU STREPTOPELIA DECAOCTO CONFERITE ALL’ISTITUTO ZOOPROFILATTICO DI FORLÌ NEGLI ANNI 2011-2014

La Tortora dal collare o Tortora orientale Streptopelia decaocto (Frivaldszky, 1838) è un Columbidae originario dell’Asia, ma che nel XX secolo ha avuto una forte espansione in Europa. Oggi è presente in tutta Italia ed in espansione (Campedelli et al 2012). Tale trend è evidente anche in Romagna (Gellini e Ceccarelli 2000), dove diviene tra le specie dominanti in ambito cittadino (Ceccarelli et al. 2006). Specie sedentaria di taglia media, ha abitudini diurne e confidenti, visitando assiduamente giardini e parchi cittadini dove si nutre soprattutto di semi comunque integrati da frutta, erbe, insetti e piccoli invertebrati. Il periodo di riproduzione si concentra tra marzo e settembre, ma può deporre tutto l’anno nelle condizioni di sinantropia. Nei nidi rozzi posti su alberi o strutture depone 1-2 uova che cova 14-16 giorni e i giovani si involano a 17-22 giorni dalla schiusa. Possono esservi più cicli riproduttivi durante l’anno.
Queste caratteristiche di plasticità comportamentale e produttività la pongono tra le specie molto adatte alla convivenza con l’uomo e che traggono notevoli vantaggi nel vivere in città di tutti i tipi e dimensioni.
La Tortora orientale rappresenta quindi una ottima specie da utilizzarsi per il monitoraggio sanitario dei sinantropici, essendo potenzialmente in grado di fungere da reservoire per alcuni agenti zoonotici quali in particolare le Tricomoniasi (Lennon et al. 2013) o gli aspetti virali tipici dei columbiformi (Marlier e Vindevogel 2006) tra cui ovviamente i Paramyxovirus (Krysten et al 2012) con una accertata sensibilità alla West Nile con anche casi di spill over (Taddei et al. 2011, Bonfante et al. 2012, Panella et al 2012).
In questo contesto la Sezione di Forlì dell’Istituto Zooprofilattico Sperimentale della Lombardia e dell’Emilia Romagna sta raccogliendo da tempo ulteriori informazioni sullo stato delle Tortore presenti sul proprio territorio di competenza e in particolare per quelle ritrovate morte nelle aree cittadine e nei territori adiacenti.

14 Settembre 2015

2015 – INSORGENZA E PREVALENZA DI “WHITE STRIPING” IN BROILER PESANTI SOTTOPOSTI A DIVERSI PROGRAMMI DI CONTROLLO DELLA COCCIDIOSI

Il White Striping (WS) è un’alterazione del muscolo del broiler caratterizzata dalla presenza di striature bianche parallele alla direzione delle fibre muscolari (1).
Il WS può essere classificato, a seconda della gravità in 3 categorie: muscolo normale (grado 0), muscolo con moderato WS se presenta un moderato numero striature bianche di spessore inferiore ad 1 mm (grado 1), muscolo con grave WS, se le striature sono numerose e di spessore superiore ad 1 mm (grado 2) (2, 3).
Istologicamente le lesioni riscontrate su muscoli in corso di WS sono polifasiche e comprendono fenomeni degenerativi, infiammatori e rigenerativi; negli stati più avanzati si evidenzia fibrosi e sostituzione delle fibre muscolari con adipociti (3).
La presenza di WS ha un’incidenza macroscopica osservata sia sperimentalmente che al macello che va dal 12 ad oltre il 70% (4, 5, 6).
Da un punto di vista commerciale questa alterazione sta acquisendo sempre maggiore importanza per il settore produttivo. La presenza di WS non compromette la salubrità delle carni, ma ne altera le caratteristiche chimico-fisiche, rendendo le carni fresche affette da questo problema poco gradite al consumatore (7). Questo difetto incide inoltre sulle proprietà nutrizionali della carne con un aumento del contenuto di grassi e una riduzione della quota proteica (4). Quando il WS è presente in forma grave le carni risultano poco idonee alla preparazione di lavorati, in quanto si determinano modificazioni del pH e del potere di ritenzione idrica, scarsa coesione delle fibre muscolari e notevoli perdite di peso durante la cottura (5).
La patogenesi del WS è ancora sconosciuta, ma diversi studi hanno dimostrato che la sua prevalenza è collegata alle performance di crescita degli animali e al peso di macellazione (1, 4, 8). Anche la dieta può influenzare la manifestazione del WS, infatti animali alimentati con diete a livello energetico molto basso hanno evidenziato una prevalenza di WS inferiore a quelli alimentati con diete a livello energetico molto alto (4). La quantità di vitamina E presente nella dieta, al contrario non sembra condizionare la gravità del WS (8). Un fattore che ancora non è stato indagato è l’impiego di coccidiostatici, riportato in letteratura come una possibile causa di tossicità a carico della muscolatura scheletrica del pollo da carne ma anche di altri animali quali lo struzzo e il suino (9, 10, 11).
Tale studio si propone di indagare l’effetto dell’assunzione di coccidiostatico o vaccinazione anticoccidica in animali alimentati con diete a diversa concentrazione energetica sulla prevalenza di lesioni da WS.

14 Settembre 2015

2015 – IL MONITORAGGIO QUALE ELEMENTO ESSENZIALE NEL CONTENIMENTO DEL DERMANYSSUS GALLINAE

Dermanyssus gallinae è oggi la più grave ectoparassitosi degli allevamenti avicoli.
In Europa la spesa per il controllo ed i costi legati ai cali produttivi è stata stimata intorno ai 130 milioni di euro annui. Valori simili si lamentano in molte altre zone del mondo (Stafford et al., 2006). L’infestazione da D. gallinae si conclama nella sua massima gravità nel settore delle galline ovaiole, in quanto il lungo ciclo produttivo fornisce all’acaro un contesto maggiormente favorevole alla sua sopravvivenza e replicazione (Mul et al. 2010, Giangaspero et al., 2012). In Francia, Danimarca, Olanda, Polonia, Romania, Svezia ed Italia la prevalenza nelle aziende avicole raggiunge percentuali superiori al 70%, con picchi di oltre il 90% negli allevamenti di piccola e media estensione (Sparagano et al., 2014). L’effetto più consistente della parassitosi sulla gallina ovaiola è un forte stress dovuto alle ripetute punture da D.gallinae, concentrate soprattutto nelle ore notturne (Kowalski e Sokól, 2009).
A questo seguono marcato nervosismo, aggressività, cannibalismo e scadimento delle condizioni generali dell’animale che esitano in calo dell’ovodeposizione e mortalità secondaria. Oltre a ciò D.gallinae ha dimostrato capacità vettoriali per molti agenti patogeni, sia virali che batterici (Chauve 1998, Sparagano et al. 2012).
Le attuali strategie di controllo sono tipicamente incentrate sul trattamento di locali e attrezzature mediante l’utilizzo di prodotti acaricidi. Tuttavia le caratteristiche biologiche ed etologiche di questo acaro lo rendono altamente invasivo e notoriamente difficile da eradicare (Maurer e Baumgärtner, 1994). Con l’intensificarsi degli scambi commerciali, sia di animali che di uova, D.gallinae ha inoltre trovato un ottimo metodo di diffusione sia su piccola che su larga scala e ha sviluppato recentemente anche alte capacità di resistenza nei confronti delle più diffuse molecole acaricide di origine sintetica (Marangi et al., 2012).  La già complessa situazione oggi in Europa si fronteggia anche con la sempre maggiore necessità, anche legislativa, di limitare l’utilizzo di pesticidi di sintesi scarsamente ecocompatibili.
L’approccio qui presentato volge appunto alla creazione di un processo di attenzione che fornisca un approccio olistico e fattivo all’insieme delle problematiche.

14 Settembre 2015

2015 – CARATTERIZZAZIONE MOLECOLARE DI UN CEPPO MILD DEL VIRUS DELLA MALATTIA DI MAREK EVIDENZIATO IN POLLI RURALI CON FORMA NERVOSA

La malattia di Marek è un’importante malattia linfoproliferativa del pollo a diffusione mondiale causata da un alphaherpesvirus del genere Mardivirus, denominato Gallid Herpesvirus 2 o, più comunemente, sierotipo 1 del virus della malattia di Marek (MDV-1). Questo virus è oncogeno e linfotropo, e può indurre varie forme patologiche fra cui le più comuni sono quelle neoplastica e nervosa.
MDV-1 riconosce diversi patotipi virali denominati mild, virulent, very virulent e very virulent plus (Schat e Nair, 2008).
La malattia è ancora oggi presente in Italia nonostante la vaccinazione sia applicata di routine su larga scala e recentemente sono stati descritti diversi focolai in allevamenti di riproduttori pesanti e di galline ovaiole (Piccirillo, 2011; Camarda e di Pineto, 2012). E’ anche noto che la malattia è presente nell’allevamento rurale dove, di norma, non è attuata la vaccinazione.
Dati sulle caratteristiche molecolari dei ceppi virali circolanti in Italia, sia nel settore industriale sia in quello rurale, sono però attualmente assenti.
Nel presente lavoro sono stati caratterizzati due ceppi di MDV-1: il primo isolato da polli rurali di razza ornamentale Cocincina affetti da malattia di Marek in forma nervosa, il secondo da riproduttori pesanti con forme neoplastiche viscerali. Nei polli rurali è stato anche eseguito esame clinico, necroscopico ed istopatologico. I virus sono stati evidenziati mediante diversi protocolli di PCR da penne e/o organi ed, al fine della caratterizzazione molecolare degli isolati, i prodotti di amplificazione del gene meq  sono stati sequenziati e sottoposti ad analisi filogenetica.

14 Settembre 2015

2015 – ANALISI MOLECOLARE DI CEPPI DEL VIRUS DELLA BRONCHITE INFETTIVA AVIARE NEGLI ANNI 2013 E 2014 . CONSIDERAZIONI SUI GENOTIPI CIRCOLANTI IN ITALIA E IN ALTRI PAESI EUROPEI ED EXTRA-EUROPEI.

Il virus della Bronchite Infettiva Aviare (IBV) è un coronavirus, prototipo della famiglia Coronaviridae, pleomorfo, di 80-200 nm di diametro, con genoma RNA a singolo filamento e provvisto d’envelope. E’ causa della  bronchite infettiva aviare, malattia altamente contagiosa, caratterizzata da sintomi e lesioni respiratorie, che in alcuni casi può interessare anche gli apparati gastrointestinale ed uro-genitale causando nefropatologie con alta mortalità e/o problemi alla deposizione e alla qualità del guscio dell’uovo nelle galline ovaiole. Nel tracciare un quadro epidemiologico della Bronchite Infettiva si può notare come il coronavirus, responsabile della malattia, sia in continua evoluzione, si assiste infatti alla costante comparsa di nuove varianti con caratteristiche peculiari per virulenza, tropismo o patogenesi. Nel corso degli anni sono state innumerevoli le varianti isolate in campo, differenti fra loro dal punto di vista sierologico, genotipico e patogenetico. Alcuni sierotipi, come i ceppi Massachuttes (Mass) ed il 793/B sono stati identificati in molti paesi, ma la maggioranza dei sierotipi sono endemici di ristrette regioni geografiche. Negli ultimi 20 anni nuovi sierotipi di IBV sono stati identificati negli Stati Uniti, in Europa, Cina, Taiwan, Giappone, Colombia, India ed altri paesi. Il sierotipo Massachussets della BI è stato isolato per la prima volta in Europa negli anni ’40 (Cavanagh & Davis, 1993) mentre Petek, Paparella & Catelani, e Galassi descrissero contemporaneamente la BI per la prima volta in Italia nel 1956.  L’andamento della malattia nel nostro paese, riguardo la prevalenza e la gravità, è stato fluttuante negli anni. Alla virosi primaria respiratoria inizialmente osservata, a partire dagli anni ’60 si aggiunse la sindrome “nefrite/nefrosi” dovuta a ceppi nefropatogeni (Pascucci et al., 1990). A questo periodo risale infatti la prima segnalazione di un nuovo sierotipo in Italia: il ceppo nefropatogeno 1731PV (Rinaldi et al., 1966). Durante gli anni ’70 la BI si è andata gradualmente attenuando, Zanella segnalava in quegli anni la notevole diffusione del ceppo nefropatogeno AZ23/74 (Zanella, 1976). All’inizio degli anni’80 si assiste invece ad una sensibile ripresa della malattia e durante tutto il decennio si sono moltiplicati gli isolamenti di ceppi differenti, tra i quali il 3794/Fo/83  (Pascucci et al., 1986a) associato a gravi forme respiratorie, ed utilizzato anche nei prodotti vaccinali. Negli anni ‘80 sono state isolate con una certa frequenza le varianti tipizzate in Olanda: il ceppo D207 (anche conosciuto come D274) ed il D212 (meglio conosciuto come D1466). In particolare, il sierotipo D274 risultava essere anche il più diffuso in alcuni paesi dell’Europa occidentale all’inizio e alla metà degli anni ’80 (Cook, 1984; Develaar et al., 1984). Il genotipo 793/B fu identificato per la prima volta in Inghilterra nel 1990/91 (Gough et al., 1992; Parsons et al., 1992), ma la sua presenza è stata retrospettivamente dimostrata in Francia a partire dal 1985 (Cavanagh et al., 1998), mentre nei primi anni ’90 fu isolato anche in Messico e Tailandia (Cook et al., 1996). Il sierotipo 624/I fu inizialmente descritto nel 1993 associato a forma respiratoria nel broiler (Capua et al., 1994), la successivamente caratterizzazione molecolare ha confermato che si  di trattava un nuovo genotipo (Capua et al., 1999). Il genotipo QX per la prima volta descritto in Cina nel 1995, è stato segnalato in Europa a partire dal 2002 ed in Italia a partire dal 2005 associato a  gravi forme da nefrite nefrosi in pollastre e broilers. Negli anni 2004-2005 Landman e collaboratori hanno descritto per la prima volta il fenomeno delle “false ovaiole” in riproduttori e ovaiole da consumo di diverse linee genetiche. Tale fenomeno è stato messo in correlazione ad una pregressa infezione con forma nefropatogena da IBV con genotipo sovrapponibile al QX cinese, verificatasi nelle prime due settimane di vita degli animali.
Nel 2011 ( Toffan et al.) è stata segnalata la presenza del genotipo Q1 sul nostro territorio nazionale e per la prima volta in Europa. Il virus è stato isolato da un allevamento di broiler affetti da scarso accrescimento.
Infine nel 2013( Massi) è stata segnalata la  presenza del genotipo CK/CH/Guangdong/Xindadi in galline ovaiole del Nord Italia. La circolazione dello stesso genotipo è stata  confermata nel 2014 da Moreno et al.
Le problematiche legate al controllo della bronchite infettiva, dovute principalmente alla notevole variabilità antigenica dell’IBV ed alla bassa cross-protezione tra sierotipi differenti, rendono necessario il costante monitoraggio dei ceppi circolanti sul territorio nazionale in modo da poter improntare misure efficaci di profilassi. Conseguentemente, l’isolamento e la tipizzazione dei ceppi di IBV risultano di fondamentale importanza non solo per lo studio dell’evoluzione virale ma anche per l’adattamento dei programmi vaccinali ai ceppi effettivamente circolanti.
Questo lavoro si prefigge di ottenere una visione globale della complessa situazione epidemiologica dell’IBV sul territorio nazionale e in Paesi limitrofi A questo scopo sono stati caratterizzati mediante metodi molecolari i ceppi di IBV provenienti da differenti Regioni geografiche e tipologie di allevamento, allo scopo di monitorare i ceppi attualmente circolanti ed evidenziare eventuali genotipi nuovi e/o emergenti in Italia e Paesi limitrofi.

14 Settembre 2015

2015 – RESPONSE TO ROAD TRANSPORTATION IN TURKEY (MELEAGRIS GALLOPAVO): THE ACUTE PHASE PROTEIN EXPRESSION IN LIVER AND ADIPOSE TISSUE.

Road transportation is one of the most stressful events during the turkeys’ lifetime and is associated with economic losses. Beside their use as biomarkers of inflammation, acute phase proteins (APP) have been also used as biomarkers of animal welfare, including stress due to transport, but no information is available in turkey species.
The aim of the present study was to evaluate whether the gene expression of four APP, namely α1-acid glycoprotein (AGP), C-Reactive Protein (CRP), Serum Amyloid A (SAA) and PIT54, as potential indicators of transport stress in turkey (Meleagris gal-lopavo), by qualitative and quantitative real time (qPCR) in liver and adipose tissue. Fourteen healthy animals were divided into two groups: a group subject to road transport and a control group not subject to road transport.
The expression of AGP and CRP mRNA was found to be increased in animals slaughtered after road transport. AGP mRNA expression was increased in both liver and adipose tissue, and identified as one of the major stress indicators . The presence of AGP protein in liver and adipose tissue was also confirmed by immunohistochemistry. CRP mRNA expression was found to be increased in liver alone. The results of this study suggest that AGP may serve as biomarker of stress to evaluate the transporting conditions in turkeys.

14 Settembre 2015

2015 – NUOVO PROTOCOLLO DI QPCR PER LA DIAGNOSI DI SALMONELLA ENTERICA SEROVAR GALLINARUM

Salmonella enterica subsp. enterica serovar Gallinarum (S. Gallinarum) è un batterio Gram negativo, anaerobio facoltativo, immobile, ed è l’agente eziologico della tifosi aviare. La malattia può causare, nei volatili, diarrea, anoressia, calo della ovodeposizione e mortalità elevata, con conseguenti gravi perdite economiche per gli allevatori. (Shivaprasad, 2003).
La tifosi aviare è una malattia soggetta a denuncia. L ’organizzazione internazionale della sanità animale, inoltre, ha emesso specifiche direttive per la prevenzione e il trattamento della malattia (OIE, 2010b), ed ha stabilito i criteri per la diagnosi differenziale tra Salmonelle mobili e immobili.
Attualmente, le metodiche standard sono basate sulle tecniche di isolamento ed identificazione colturali, esplicitate dalla norma ISO6579:2002, che consiste nel prearricchimento non selettivo seguito da una fase di arricchimento selettivo e successive colture su terreni selettivi, a cui segue l’identificazione basata su test biochimici e la sierotipizzazione (Popoff et al., 1997) (ISO 6579:2002).
Tuttavia, tale metodica è laboriosa e generalmente necessita di almeno cinque giorni per giungere all’individuazione del germe.
Per ridurre i tempi di identificazione della S. Gallinarum, sono stati sviluppati diversi saggi molecolari tra cui un protocollo di seminested PCR validato per l’identificazione di S. Gallinarum che si è dimostrato particolarmente sensibile, oltre a ridurre notevolmente i tempi di analisi rispetto alle procedure standard batteriologiche (Pugliese et al., 2011).
Queste metodiche molecolari, tuttavia, consentono solo di valutare la positività di un campione al germe ma non permettono la quantificazione del DNA bersaglio eventualmente presente nei campioni analizzati.
In tal senso, la Real Time PCR, o PCR quantitativa (qPCR) rappresenta un valido approccio sperimentale utile per ottenere informazioni qualitative e quantitative.
Scopo di questo studio, pertanto, è stato quello di mettere a punto una strategia di qPCR sensibile e specifica, utile non solo ad identificare ma anche quantificare la carica batterica di S. Gallinarum presente nei campioni sottoposti ad analisi.
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