Atti dei convegni

14 Settembre 2015

2015 – DATI EPIDEMIOLOGICI SULLA CIRCOLAZIONE IN ITALIA DEL NUOVO GENOTIPO IBDV ITA

Le Bursite infettiva (IBD) è una malattia immunosoppressiva del pollo caratterizzata dall’interessamento dei linfociti B e della borsa di Fabrizio dove causa necrosi e deplezione linfocitaria (Eterradossi e Saif, 2013). L’impatto economico di questa malattia è notevole, legato alla mortalità, alle perdite produttive ed all’immunosoppressione che rende gli animali più sensibili a un gran numero di patologie, fra cui le colisetticemie, e riduce l’efficacia delle vaccinazioni (Van Den Berg, 2000). L’agente eziologico è un Avibirnavirus (IBDV), virus a RNA a doppia elica, caratterizzato da una notevole variabilità sia in termini antigenici sia di virulenza. Esistono, infatti, sia ceppi in grado di dare forme cliniche gravi, accompagnate da notevole mortalità ed immunosoppressione che ceppi causa di forme subcliniche, dove l’esito unico dell’infezione è l’immunosoppressione. L’insorgenza di nuove varianti è un evento comune per questo virus, esito dell’occorrenza e dell’accumularsi nel genoma di mutazioni in punti chiave per la virulenza o per l’antigenicità, anche a seguito della pressione selettiva esercitata dalla vaccinazione di massa (Eterradossi e Saif, 2013).  La proteina del capside VP2 è considerata la sede principale sia dei siti antigenici riconosciuti dagli anticorpi neutralizzanti che di quelli fondamentali per la virulenza ed il tropismo cellulare. Dopo la sua prima comparsa negli anni ’60 negli USA (Cosgrove, 1962), la Bursite Infettiva si è diffusa a livello mondiale ed è stata adeguatamente controllata con vaccini classici sino alla fine degli anni ‘80, quando il panorama mondiale si è modificato sia per la comparsa di varianti antigeniche subcliniche negli USA (Rosenbeger e Cloud, 1986), che per la diffusione di ceppi a elevata virulenza in Europa (vvIBDV) (Van Den Berg et al., 1991). In Italia i ceppi vvIBDV hanno causato negli ultimi anni gravi danni al patrimonio avicolo (Moreno et al., 2007, Moreno et al., 2010), e solo l’introduzione sul mercato di vaccini di nuova generazione (ricombinanti o ad immunocomplessi) ne ha permesso il controllo.
Scarsi o addirittura assenti sono invece nel nostro Paese i dati sulla diffusione e sull’impatto economico delle forme subcliniche di IBD. Recentemente è stata svolta un’indagine mediante RT-PCR per IBDV in alcuni allevamenti di polli da carne affetti da ripetuti casi di colisetticemia, vaccinati per IBDV (Bonci et al., 2013).
L’indagine ha permesso di evidenziare 4 ceppi di IBDV (denominati ITA01, ITA02, ITA03, ITA04) la cui analisi di sequenza a livello della proteina VP2, ha evidenziato un genotipo dalle caratteristiche uniche, diverse da tutti i ceppi presenti in GenBank.
Con ogni probabilità si tratta di una variante nuova, in grado di eludere la protezione dei vaccini in uso. Il rinvenimento della variante in allevamenti affetti da infezioni batteriche ripetute fa pensare che essa causi forme subcliniche immunosoppressive, analoghe a quelle osservate negli USA.
Allo scopo di delineare un quadro della situazione di campo il più possibile aderente alla realtà, è stata svolta sul territorio nazionale, in particolare nelle aree a rischio d’infezione, un’indagine sulla diffusione del genotipo ITA nell’allevamento del broiler. Il progetto ha previsto studi longitudinali e campionamenti singoli, per la ricerca di IBDV mediante RT-PCR. I ceppi evidenziati sono stati caratterizzati mediante analisi di sequenza della regione ipervariabile della proteina VP2. Dove possibile i risultati sono stati integrati con i dati produttivi d’allevamento ed i piani vaccinali applicati.

14 Settembre 2015

2015 – SEQUENZIAMENTO DELL’INTERO GENOMA DI UN CEPPO DI IBV GENOTIPO Q1-LIKE ISOLATO IN ITALIA NEL 2013

Il virus della Bronchite Infettiva (IBV) è un virus a polarità positiva, a singolo filamento di RNA appartenente alla famiglia delle Coronaviridae, genere Coronavirus. Presenta un genoma di circa 27.6 Kb (5-UTR-1a/1ab-S-3a-3b-E-M-5a-5b-N-3 UTR). IBV è responsabile di gravi perdite economiche nel settore avicolo (Jackwood e de Wit, 2013) dovute a infezioni del tratto respiratorio superiore, associate anche a infezioni batteriche secondarie, e dei reni. Nei riproduttori può colpire anche l’apparato riproduttore influenzando negativamente l’ovodeposizione e la qualità delle uova prodotte.
Le strategie di controllo della malattia sono principalmente basate sul largo utilizzo della vaccinazione sebbene l’immunità indotta dai vaccini è a volte poco protettiva a causa della limitata cross-protezione esistente tra i diversi genotipi (de Wit et al., 2011; Cook et al., 2012). Infatti, il genoma virale di IBV è incline a mutazioni puntiformi (sostituzioni, inserzioni e delezioni) e a più estensivi fenomeni di ricombinazione, che risultano nell’origine di un gran numero di varianti di IBV (Thor et al., 2011; Jackwood et al., 2012).
Dal 1996 la presenza di un nuovo genotipo del virus di IBV, denominato Q1, è stata evidenziata in Cina (Yu et al., 2001), ed è stato riportato per la prima volta in Italia nel 2011, associato ad un aumento di mortalità preceduto da sintomatologia respiratoria, casi di nefrite e proventricolite (Toffan et al., 2011; Toffan et al., 2013).
Nel 2013, durante un focolaio di malattia respiratoria in un allevamento di broiler localizzato in nord Italia, è stata nuovamente riscontrata la circolazione di un ceppo  genotipizzato, sulla base del sequenziamento della regione ipervariabile del gene S1, come Q1-like.
Il virus è stato quindi isolato e denominato γCoV/Ck/Italy/I2022/13, in accordo con la nomenclatura proposta recentemente per IBV (Ducatez et al., 2014).
Nel presente lavoro, l’intero genoma è stato sequenziato e comparato con 130 sequenze di genoma completo di IBV e Turkey Coronavirus (TCoV), scaricate da ViPR. Per identificare eventuali eventi di ricombinazine è stata eseguita un’analisi con l’utilizzo del software SimPlot sull’intero genoma. In aggiunta, la relazione fra il ceppo γCoV/Ck/Italy/I2022/13 e altri stipiti isolati a livello mondiale è stata valutata in modo più approfondito confrontandola, tramite un’analisi filogenetica, con il più ampio database di sequenze complete del gene S1. Infine, sono state discusse le ipotesi sull’origine di questo isolato.

14 Settembre 2015

2015 – CONTROLLO INTEGRATO DI DERMANYSSUS GALLINAE CON ELEVATE TEMPERATURE ALL’INTERNO DI ALLEVAMENTI AVICOLI

Erroneamente noto come “pidocchio rosso” – per pidocchio ci si riferisce invece ad un insetto –  il Dermanyssus gallinae (De Geer) (Mesostigmata: Dermanyssidae) è un acaro.
Rappresenta uno dei più pericolosi ectoparassiti degli allevamenti avicoli [Fig.1]; la sua presenza massiccia, soprattutto a carico delle galline ovaiole arreca ogni anno pesanti ricadute sulla produttività degli animali. Diffuso in tutto il mondo, è riconosciuto il suo ruolo probabile di vettore di diversi patogeni virali e batterici (Sparangano et al., 2014). In condizioni ottimali compie l’intero ciclo vitale in una settimana. L’acaro si nutre del sangue dei volatili sia nelle forme giovanili, che da adulto, in quanto la femmina necessita di proteine per fare maturare le proprie uova (Chauve, 1998). D. gallinae  passa la maggior parte della sua esistenza nascosto in vari pertugi presenti nell’allevamento   e solo durante le ore notturne si muove alla ricerca dell’ospite su cui nutrirsi e sul quale non dimora a differenza di altri acari ornitofili come Ornithonyssus sylviarum (Canestrini e Fanzago) che completano il loro ciclo vitale sull’animale di cui si nutrono. Le ovaiole attaccate manifestano insofferenza, irritabilità, diminuzione della produttività e in casi estremi, con pullulazioni massicce dell’acaro, dall’anemia fino alla morte.
Nonostante lo svuotamento degli allevamenti e le operazioni di pulizia e di disinfestazione con acaricidi, l’acaro e le stesse uova possono annidarsi ugualmente negli anfratti dei capannoni e nelle pertinenze manifestandosi in modo massiccio non appena vengono introdotte le galline ovaiole. Per una efficace azione contro gli stadi vitali degli infestanti,  all’interno di un allevamento è stato effettuato un trattamento con le elevate temperature con il duplice scopo di determinare la valenza di questo metodo contro D. gallinae e per esaminare l’applicabilità del sistema nell’ambito degli allevamenti. Il metodo delle elevate temperature, quale alternativa all’impiego dei gas tossici è utilizzato in Italia da diversi anni nel settore alimentare (Guerra, 2009) ed è oggi considerato un valido sistema per la disinfestazione, anche ovicida, applicabile nei pastifici (Guerra et al. 2012) e nei molini (Guerra, 2013).

14 Settembre 2015

2015 – VALUTAZIONE DELLA SENSIBILITÀ AGLI ANTIBIOTICI DI CEPPI DI ESCHERICHIA COLI ISOLATI DA AVIFAUNA STANZIALE E MIGRATORIA CATTURATA PRESSO L’ISOLA DELL’ASINARA.

L’antibiotico resistenza di batteri patogeni e commensali di origine animale è uno dei più grandi problemi di sanità pubblica in tutto il mondo. Questa considerazione è così importante che l’Unione Europea, nell’emanare le varie direttive, ha considerato l’antibiotico resistenza una “zoonosi trasversale” coì come espresso dalla Direttiva 2003/99/CE del 17 novembre 2003. In tale Direttiva, l’articolo 16 cita: “Si rende necessario sorvegliare la preoccupante insorgenza di casi di resistenza agli antibiotici (quali medicinali antimicrobici e additivi antimicrobici nei mangimi). Si dovrebbe disporre che la sorveglianza non riguardi soltanto agenti zoonotici ma anche, nella misura in cui presentano una minaccia per la sanità pubblica, altri agenti. Potrebbe rivelarsi opportuna in particolare la sorveglianza di organismi indicatori, i quali costituiscono una riserva di geni di resistenza che possono trasferire ai batteri patogeni.” Sono numerosi gli studi che hanno indagato su tale argomento, nell’uomo e negli animali d’allevamento, mentre non è ancora chiara come questa si manifesti negli animali selvatici. Infatti, nel caso della fauna selvatica, lo studio dell’antibiotico-resistenza non viene affrontato per stabilire migliori strategie di cura, bensì per valutare se ci sono tali caratteristiche e in quale entità. In particolar modo gli uccelli sono degli ottimi indicatori ambientali in quanto possono, nel loro migrare, acquisire batteri resistenti e distribuirli a seguito di contatto con attività antropiche e di allevamento. Lo scopo del nostro lavoro è stato quello di monitorare l’antibiotico resistenza di ceppi di Escherichia coli isolati da avifauna stanziale e migratoria catturata presso l’Isola dell’Asinara, parco nazionale dal 1991. La scelta di questo luogo è data dalla particolare ubicazione dell’isola e dal fatto che non esistano stabili insediamenti umani ne allevamenti di animali.

14 Settembre 2015

2015 – INFESTAZIONE DA PHTHIRAPTERA NELL’AVIFAUNA ITALIANA

Tra gli ectoparassiti gli Phthiraptera sono quelli che dimostrano il grado di ospitespecificità superiore (13).
Sono insetti privi di ali, parassiti obbligati che completano tutto il loro ciclo vitale sul corpo di un organismo ospite dove si nutrono principalmente di frammenti di penne, epidermide desquamata, sangue o secreti (8).
L’infestazione avviene in maniera opportunista soprattutto quando gli ospiti sono in stretto contatto, come ad esempio durante l’accoppiamento.
I primi lavori scientifici riguardanti lo studio degli Phthirapetra in Italia risalgono al 1882 con gli elenchi ed i cataloghi di Simonetta (19), Picaglia (16 ,17) e Berlese (1, 2) successivamente dalla metà del secolo scorso i lavori di Conci (4, 5, 6), Manilla e colleghi (12, 13, 14) arrivarono a definire 267 specie di Phthiraptera rinvenuti su fauna italiana.
Recentemente, il gruppo di autori scrivente, ha ripreso lo studio di questi ectoparassiti aggiornando ulteriormente la lista e portando il numero di specie a 273 (9).
La presente pubblicazione intende analizzare i dati raccolti su questi parassiti in 9 anni di studio, segnalando inoltre una specie nuova per la fauna italiana aggiornando quindi il numero di Phthiraptera sul territorio nazionale a 274.

14 Settembre 2015

2015 – IDENTIFICAZIONE MEDIANTE NEXT GENERATION SEQUENCING DI SOTTOPOPOLAZIONI VIRALI IN UN VACCINO VIVO ATTENUATO PER METAPNEUMOVIRUS AVIARE SOTTOTIPO B E LORO IMPLICAZIONE NEL FENOMENO DI REVERSIONE A VIRULENZA

Il metapneumovirus aviare (aMPV) è un patogeno di grande importanza per l’industria avicola, in quanto in grado di determinare sindromi respiratorie sia nel tacchino che nel pollo che se complicate da infezioni batteriche secondarie possono conseguire in rilevanti perdite economiche (7).
Alla fine degli anni ’80 sono stati messi in commercio vaccini vivi attenuati che hanno permesso il controllo di tali infezioni. Tuttavia in campo si osservano ancora forme respiratorie riferibili ad aMPV (2, 5). Ciò è stato imputato a diverse cause tra cui la vaccinazione mal praticata, scarsa durata dell’immunità e incompleta protezione tra i sottotipi (11, 15).
Diversi studi hanno inoltre dimostrato la possibilità di fenomeni di reversione a virulenza di questi vaccini e riportato, sia per vaccini allestiti con aMPV sottotipo A e sottotipo B, i siti coinvolti in questo fenomeno (3, 4). Sebbene la presenza di sottopopolazioni vaccinali caratterizzate da una diversa virulenza sia stata riporta per il sottotipo A (12), questo non preclude il concomitante ruolo di una progressiva evoluzione con acquisizione di mutazioni dei ceppi vaccinali durante la catena di trasmissione in vivo. Nel presente studio, un vaccino basato su aMPV sottotipo B è stato sottoposto a deep sequencing tramite protocolli di Next Generation Sequencing (NGS) al fine di identificare e studiare la presenza di sottopopolazioni virali potenzialmente implicate nel fenomeno di reversione a virulenza.

14 Settembre 2015

2015 – VALUTAZIONE DELLA SENSIBILITÀ ANTIBIOTICA DI CEPPI DI ESCHERICHIA COLI ISOLATI DA SPECIE AVICOLE ALLEVATE E DA A VIFAUNA SELVATICA

L ’antibioticoresistenza è un fenomeno biologico naturale che si verifica per l’emergenza e la diffusione di fattori di resistenza batterica agli antibiotici ed è innescata ed amplificata dalla pressione selettiva esercitata sulle popolazioni microbiche attraverso l’uso di questi farmaci. L’utilizzazione inadeguata di antimicrobici terapeutici in medicina umana e veterinaria, l’impiego di queste molecole per fini non terapeutici (la cosiddetta “chemioprofilassi antibiotica”) e l’inquinamento ambientale da antimicrobici accelerano la comparsa e la propagazione di microrganismi resistenti. Le maggiori criticità al momento riguardano i ceppi di Staphylococcus aureus meticillino-resistenti (MRSA), i ceppi di enterococchi vancomicina-resistenti (VRE) e i ceppi batterici Gram negativi (in particolare Escherichia coli e Klebsiella pneumoniae) produttori di beta-lattamasi ad ampio spettro (ESBL/AmpC).
Il settore zootecnico è particolarmente coinvolto dal problema. L’Unione Europea e le autorità sanitarie nazionali hanno deciso di fronteggiare il problema attraverso misure restrittive ma soprattutto incentivando un impiego “prudente e ragionato” dell’utilizzo degli antibiotici (1,2). E’ inoltre necessario implementare le misure di biosicurezza e, laddove possibile, di profilassi immunizzante nonché il ricorso a prodotti alternativi.
Tra i paesi europei maggiormente attivi nella riduzione dell’uso degli antibiotici in medicina veterinaria, l’Olanda ha adottato fin dal 2008 un programma che si prefigge un calo del 70% delle vendite di antibiotici nel settore zootecnico alla fine del 2015 (prendendo come riferimento i quantitativi venduti nel 2009) (7). Il programma olandese classifica gli antibiotici nelle seguenti categorie:
  • Prima scelta: comprende antibiotici per i quali non si prevede una limitazione all’impiego purchè quest’ultimo sia ovviamente destinato esclusivamente a scopi terapeutici. Vi appartengono alcune beta-lattamine (come ad esempio la penicillina G e la penicillina V), le tetraciline, i sulfamidici (anche associati al trimethoprim), i fenicoli (tiamfenicolo e florfenicolo) alcuni macrolidi (ad esempio la tilosina ma non nel settore avicolo), le pleuromutiline, la rifaximina, la bacitracina e l’avilamicina.
  • Seconda scelta: il loro impiego va giustificato in funzione della diagnosi e dell’applicazione di test di sensibilità in vitro. Questi ultimi si possono evitare solo per terapie di emergenza. Vi appartengono alcune beta-lattamine (amoxicillina, ampicillina, acido clavulanico) alcune cefalosporine (come cefalexina e cefapirina), alcuni macrolidi (come la tilosina e la tilmicosina per le specie avicole e la tulatromicina), alcuni aminoglicosidi (apramicina, gentamicina, kanamicina, neomicina, streptomicina, spectinomicina) e alcuni fluorochinoloni (flumequina, acido oxolinico).
  • Terza scelta: vi appartengono antibiotici considerati di importanza critica per la salute umana. Il loro impiego in ambito veterinario va riservato a terapie individuali come conseguenza di indagini batteriologiche seguite da prove di sensibilità in vitro e in assenza di alternative. Questo gruppo comprende alcune cefalosporine (cefoperazone, ceftiofur e cefquinome) e alcuni fluorochinoloni (tra cui enrofloxacin e marbofloxacin).
  • E’ infine vietato l’impiego degli antibiotici non inclusi nelle categorie appena descritte. In particolare il divieto si riferisce agli antibiotici non inclusi nella tabella 1 del Regolamento CE 37/2010 (che stabilisce l’elenco delle sostanze farmacologicamente attive consentite e ne fissa i limiti massimi residuali negli alimenti di origine animale) oppure elencati (come sostanze proibite) nella tabella 2 del medesimo regolamento (8).
A livello diagnostico è fondamentale un’attività costante di studio delle caratteristiche di antibiotico-resistenza dei ceppi batterici isolati al fine di valutare nel tempo l’andamento del fenomeno e di evidenziare tempestivamente la comparsa di nuove problematiche. Questa attività deve comprendere sia le specie allevate che la fauna selvatica.
Il presente studio si è indirizzato sullo studio delle caratteristiche di antibiotico-resistenza dei ceppi di Escherichia coli isolati da specie avicole allevate e da specie appartenenti alla avifauna selvatica.
Escherichia coli è un normale costituente della flora intestinale dell’uomo e della maggior parte delle specie animali, sia domestiche che selvatiche. Può essere facilmente disseminato in svariati ecosistemi attraverso acqua, terreno e alimenti.
Questo microrganismo è frequentemente implicato in patologie enteriche e sistemiche (di interesse umano e veterinario) per la cui terapia è spesso richiesto l’impiego di antibiotici. Di conseguenza non è infrequente la comparsa di fenomeni di antibiotico-resistenza tra cui particolare importanza viene attribuita ai ceppi produttori di beta-lattamasi ad ampio spettro (ESBL/AmpC) resistenti agli antibiotici beta-lattamici e, in particolare, ad alcune penicilline e cefalosporine.
Escherichia coli è considerato il più diffuso tra i batteri patogeni aviari. Colpisce infatti tutte le specie allevate, a qualsiasi età e in tutte le tipologie produttive. E’ solitamente responsabile di infezioni sistemiche (favorite da fattori condizionanti di natura virale e/o ambientale) e, più raramente, di infezioni localizzate (quali ad esempio il coligranuloma o malattia di Hjarre). L’infezione da Escherichia coli è responsabile di gravi perdite economiche legate agli indici di mortalità, alla riduzione delle performance zootecniche e all’aumento degli scarti in fase di macellazione.
L’avifauna selvatica svolge un ruolo importante nella diffusione dell’antibiotico-resistenza in vari modi:
  • Come “sentinella” in grado cioè di colonizzare, in funzione dell’habitat di appartenenza, ceppi batterici antibiotico-resistenti provenienti da attività umane o allevamenti zootecnici.
  • Come “serbatoio” e potenziale diffusore (in particolare per le specie migratorie) di ceppi antibiotico-resistenti.
  • Come possibile fonte di antibiotico-resistenza per l’uomo e le specie animali allevate.

14 Settembre 2015

2015 – QUALITÀ DELL’ACQUA IN ALLEVAMENTI DI TACCHINI IN VENETO: CONFRONTO CHIMICO-FISICO E MICROBIOLOGICO TRA APPROVVIGIONAMENTO CON POZZO E CON ACQUEDOTTO

Il regolamento 852/2004/CE stabilisce i requisiti per l’acqua di abbeverata nelle produzioni animali e precisa che deve risultare “potabile o pulita, al fine di prevenire la contaminazione delle specie allevate”, ma non stabilisce alcun limite di accettabilità.
La mancanza di disposizioni specifiche riguardo alla qualità dell’acqua di abbeverata rappresenta a oggi un rilevante punto critico per il benessere e la sanità animale in relazione alle qualità igienico-sanitarie dei prodotti da essi derivati: l’acqua proveniente da pozzi artesiani (comune fonte di approvvigionamento idrico) potrebbe risultare contaminata a causa di infiltrazione da parte di sostanze inorganiche, fertilizzanti, batteri, contaminanti e patogeni (Rossi e Gastaldo, 2005). Inoltre, acque non idonee potrebbero comportare anche riduzione delle prestazioni produttive, alterazione della qualità dei prodotti e danni alle attrezzature (Enne et al., 2006).
Negli ultimi anni è aumentata l’attenzione sulla problematica connessa ai contaminanti chimici e biologici nell’alimentazione animale ed è stato recentemente svolto uno studio sulla qualità dell’acqua di abbeverata negli allevamenti suinicoli del Veneto (Giacomelli et al., 2014), ma resta una sostanziale carenza scientifica riguardo alla qualità dell’acqua nel settore avicolo. L’importanza della quantità e qualità dell’acqua nell’alimentazione zootecnica viene spesso sottovalutata, in realtà l’acqua è essenziale, sia per quantità richieste sia per costanza dei fabbisogni, intimamente coinvolta in tutte le funzioni fisiologiche e metaboliche dell’organismo animale.  Studi specifici hanno dimostrato che alcune caratteristiche chimico-fisiche dell’acqua influenzano negativamente l’efficacia dei farmaci (antibatterici e antielmintici) quando somministrati in veicolo acquoso. In particolare, pH, durezza e salinità non idonei possono diminuire la solubilità dei principi attivi e favorire la precipitazione degli stessi come composti insolubili, causando un sottodosaggio del farmaco (Enne et al., 2006), con la possibile comparsa di fenomeni di antibiotico-resistenza nelle popolazioni batteriche.
Per quanto riguarda invece la qualità microbiologica, l’EFSA ha recentemente indicato l’acqua di abbeverata come una delle cause di contaminazione diretta da Campylobacter spp. per animali e uomo (EFSA, 2011), e studi sul settore avicolo hanno riportato che la somministrazione di acqua di pozzo contaminata può essere il veicolo di introduzione di Campylobacter in allevamenti (Zimmer et al., 2003; Pérez-Boto et al., 2010). A questo riguardo sono ancora scarsi i dati disponibili, sebbene Campylobacter rappresenti un importante agente zoonotico, per il quale la direttiva 99/2003/CE raccomanda la definizione di opportuni programmi di sorveglianza.
Sulla base di queste motivazioni è stato attuato un progetto di ricerca per il monitoraggio della qualità dell’acqua di abbeverata in un campione di allevamenti di tacchini con approvvigionamento a pozzo e ad acquedotto, omogeneamente distribuiti nel territorio della Regione Veneto. Sono stati valutati durezza, pH, salinità, ferro, rame, indici di inquinamento agricolo quali ammoniaca, nitrati e solfati, quella di cationi indicatori di inquinamento industriale quali il cromo. È stata valutata anche la qualità microbiologica dell’acqua analizzando i seguenti parametri: cariche batteriche totali a 22 °C e 37 °C e presenza e conteggio di E. coli ed enterococchi, quali indicatori di inquinamento fecale. Il conteggio delle colonie batteriche a 22 °C è un indicatore di scarso significato sanitario, ma è utile per valutare l’efficacia del trattamento dell’acqua, o per valutare la pulizia e l’integrità del sistema idrico di distribuzione. Un incremento nel conteggio delle colonie batteriche a 37 °C può rappresentare un segnale precoce d’inquinamento antropico e una loro presenza elevata può essere causa di malattie come gastroenteriti e infezioni della cute e delle mucose, particolarmente in animali con compromissione del sistema immunitario (Bonato, 2007). Infine, è stato valutato il ruolo dell’acqua di abbeverata quale potenziale fonte di infezione da Campylobacter spp.

14 Settembre 2015

2015 – UN CASO DI OSTEOSARCOMA NEL GHEPPIO (FALCO TINNUNCULUS)

Un giovane esemplare di gheppio veniva ricoverato presso il Centro di Recupero Animali Selvatici (CRAS) di Napoli. L’animale era incapace di volare e presentava difficoltà locomotorie. All’esame clinico appariva disidratato, denutrito e anemico. Era presente, inoltre, una frattura consolidata a livello tibiotarsico sinistro con deviazione dell’arto. Il gheppio veniva trattato con una soluzione salina standard e un complesso vitaminico. L’esame radiografico della zampa sinistra, eseguito in proiezione craniocaudale, mostrava gravi lesioni morfostrutturali dell’epifisi distale del femore, della fibula, del tibiotarso e della porzione prossimale del tarsometatarso. Le lesioni erano caratterizzate da lisi permeativa diffusa e lievi reazioni periostali con ispessimento dei tessuti molli. Erano presenti, inoltre, una frattura patologica della diafisi distale dell’osso tibiotarsico sinistro e una frattura patologica della diafisi tarsometatarsica della zampa destra. Venivano effettuate delle biopsie nel sito delle lesioni, fissate in metanolo e colorate con il metodo Diff-Quik per la valutazione citologica.
All’esame citologico si osservavano rare e atipiche cellule fusiformi e cellule giganti multinucleate. Tali aspetti permettevano la diagnosi di osteosarcoma. A causa delle gravi condizioni, il volatile veniva sottoposto ad eutanasia. Successivamente, si eseguiva un esame necroscopico nel corso del quale non si osservavano metastasi a carico degli organi celomatici. Si raccoglievano, quindi, campioni dalle lesioni alle zampe che venivano posti in formalina al 10% per l’esame istopatologico. Le lesioni venivano sezionate e demineralizzate in acido tricloroacetico al 5%, incluse in paraffina e colorate con ematossilina-eosina e alcian blue-PAS.
A livello istologico, le lesioni erano rappresentate da proliferazione di cellule neoplastiche con coinvolgimento della cavità midollare e invasione della corteccia sovrastante. Le cellule neoplastiche variavano da fusiformi a pleomorfe con citoplasma basofilo, nuclei ipercromatici e nucleoli multipli. Erano presenti rare figure mitotiche.
Le cellule giganti multinucleate erano simili agli osteoclasti ed erano sparse in tutto il tumore; inoltre, filamenti ialini, eosinofili e tessuto osteoide erano disposti come trabecole irregolari separate da cellule maligne. Il tessuto osteoide era frammisto a matrice cartilaginea azzurra (alcian blue–PAS) ed era disposto irregolarmente come spicole tra piccole cellule fusiformi simili a cellule neoplastiche reticolari dello stroma del midollo osseo. Erano, inoltre, associati alla proliferazione neoplastica, lieve infiammazione ed emorragia. Pertanto, l’esame istopatologico evidenziava la presenza di osteosarcoma condroblastico.

14 Settembre 2015

2015 – THE TURKEY INTESTINAL MICROBIOME: A NEXT GENERATION SEQUENCING APPROACH

The diversity and functions of microbes in the gastrointestinal tract is a field of ongoing research, aiming to establish the correlation between them and different genetic changes, diseases, relationship with therapy and the influence on metabolism or immune system of the host (Moura-Alvarez et al. 2014, Danzeisen et al. 2013). The distribution of bacterial population depends on the environment, the different zones of the organism in which microbes grow, the age and the diet of the host.
For our study, samples from four parts of the intestine of turkeys (duodenum, jejunum, ileum and cecum) were collected to obtain a characterisation of intestinal microbiome. Four abundant phyla were found: Actinobacteria, Bacteroidetes, Firmicutes and Proteobacteria. For these phyla analysis at family level were performed, and results shown that Lactobacillaceae family has the higher percentage in samples, while at genus level Lactobacillus (phylum Firmicutes), is the most abundant and homogeneously distributed bacterial genus presented in the gut of turkeys, except in cecum zone.
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