Atti dei convegni

14 Settembre 2014

2014 – PFGE E MALDI TOF A CONFRONTO NELLO STUDIO DELLA SPONDILITE DA ENTEROCOCCUS CECORUM DEL BROILER

Enterococcus cecorum (inizialmente conosciuto come Streptoccoccus cecorum) è un cocco Gram positivo anaerobio facoltativo, catalasi negativo e α-emolitico.
Sebbene E. cecorum sia un normale commensale della lora intestinale degli uccelli, è considerato un patogeno emergente del pollo da carne in quanto è stato associato a spondiliti, osteomieliti, artriti e setticemia. La spondilite è un’iniammazione vertebrale che è stata osservata soprattutto in soggetti maschi di età superiore a 28 gg, con mortalità che ha toccato anche il 15% in alcuni gruppi (Martin et al., 2011). L’esatta modalità di trasmissione e i fattori di virulenza correlati a questo tipo di infezione non sono ancora noti quindi un appropriata sorveglianza per mezzo di strumenti biomolecolari è necessaria per comprenderne meglio l’epidemiologia di questo microorganismo. Vari metodi biomolecolari sono stati utilizzati per tipizzare e caratterizzare geneticamente gli enterococchi, tra questi: ERIC-PCR, RAPD-PCR, Rep-PCR e PFGE (pulsed ield gel electrophoresis) che è considerata il “gold standard” per la tipizzazione di numerose specie batteriche (Wijetunge et al., 2012). Negli ultimi 10 anni la spettrometria di massa è divenuta un importante strumento d’indagine nei laboratori di microbiologia sia per l’identiicazione batterica che per la sub-tipizzazione, come dimostrano i recenti lavori pubblicati su MRSA, C. dificile e Legionella (Wolters et al., 2011; Reil et al., 2011). Nel presente studio la PFGE e la spettrometria di massa sono state utilizzate per valutare le correlazioni epidemiologiche di ceppi di E. cecorum coinvolti in episodi di spondilite del pollo da carne.

14 Settembre 2014

2014 – PREVALENZA DI CAMPYLOBACTER SPP. IN RAPACI DIURNI E NOTTURNI

I Campylobacter termotolleranti, in particolare C. jejuni e C. coli, sono tra i principali agenti batterici causa di gastroenterite umana nei paesi industrializzati (3). Varie specie di volatili rappresentano il  principale reservoir (1); tuttavia, i dati disponibili in letteratura sulla prevalenza di Campylobacter spp. nei rapaci è scarsa e frammentaria. Questi volatili possono essere ritrovati in prossimità degli habitat occupati dall’uomo ed in prossimità di campi agricoli favorendo, in tal modo, l’eventuale trasmissione di agenti patogeni all’uomo e al comparto zootecnico. Alla luce di quanto esposto, quindi, il presente studio è stato condotto con lo scopo di valutare la prevalenza di Campylobacter termotolleranti nei rapaci.

14 Settembre 2014

2014 – ISOLAMENTO DI SALMONELLA INFANTIS IN RONDONI (APUS APUS) NELLA CITTÀ DI NAPOLI

Il rondone è un volatile sinantropico la cui dieta è rappresentata principlamente da artropodi. E’ considerato un migratore transahariano o long distance migrants la cui popolazione si muove regolarmente dall’Africa sub-sahariana all’Europa per la riproduzione (2). Alle nostre latitudini (Napoli, 40°50’0” N, 14°15’0” E), il rondone arriva in primavera per trascorrere circa 4 mesi. In virtù di queste caratteristiche i rondoni sono stati spesso utilizzati come bioindicatori di contaminanti organici.
Tuttavia, non sono disponibili studi sulla presenza di agenti zoonotici in questa specie di volatile eccetto l’isolamento di Erysipelothrix rhusiopathiae come agente causale della morte di una colonia di rondoni minori (Apus afinis) (4). Il presente studio riporta l’isolamento di Salmonella enterica serovar Infantis da rondoni ospitati presso il Centro di Riferimento Regionale per l’Igiene Urbana Veterinaria (CRIUV) di Napoli.

14 Settembre 2014

2014 – INFEZIONE DA CIRCOVIRUS NELLA GRU CORONATA (BALEARICA REGULORUM). CARATTERIZZAZIONE GENOMICA DEL VIRUS IDENTIFICATO

Circovirus, famiglia Circoviridae, è un virus privo di envelope, a DNA circolare a singolo ilamento (Niagro et al., 1998). Il suo genoma codiica per due proteine principali, replication associated protein (Rep) e coat protein (CP). È inoltre presente la regione ORF (open reading frame), la cui funzione non è stata ancora ben deinita (Varsani et al., 2010).
Nei pappagalli, questo virus è ben noto e viene deinito BFDV (Beak and Feather Disease Virus), in quanto causa una patologia denominata Malattia del becco e delle penne (Psittacine Beak and Feather Disease – PBFD), in quanto caratterizzata da anomalie a carico del piumaggio e del becco (Gerlach, 1994).
La rilevanza di questa patologia è legata alla immunodepressione che si osserva nei soggetti colpiti, dovuta a deplezione dei tessuti linfoidi, in particolare timo e borsa di Fabrizio, che li predispone a frequenti infezioni secondarie di natura batterica e/o fungina (Katoh et al., 2010; Todd, 2004). Nei pappagalli, l’infezione da circovirus è stata identiicata in più di 60 differenti specie di psittacidi e si ritiene abbia distribuzione pressochè mondiale (Todd, 2004; Cathedral-Ortiz et al. 2010). Tra le altre specie di volatili, Circovirus è stato identiicato nei canarini (Todd et al., 2001; Rampin et al., 2006), nei piccioni (Mankertz et al. 2000; Todd. et al. 2001; Duchatel et al., 2006; Todd et al. 2008), negli struzzi (Shivaprasad et al. 1993; Eisenberg et al. 2003), nelle oche (Todd. et al. 2001; Chen et al. 2003) nelle anatre (Smyth et al., 2005), nel corvo australiano (Stewart et al. 2006) e nel diamante di Gould (Shivaprasad et al., 2004; Circella et al. 2014). In queste specie, gli effetti dell’infezione non sono ancora ben chiari. Analogamente, le manifestazioni cliniche descritte possono variare da caso a caso, anche a seconda della specie colpita. In questo lavoro, viene riportato il riscontro di circovirus in una gru coronata (Balearica regulorum).
Tale stipite è stato identiicato in un esemplare di gru coronata adulto, asintomatico, che si trovava in un giardino zoologico del Sud Italia. Nella stessa struttura, sia pure in voliere differenti, erano presenti pappagalli appartenenti a specie diverse.
Il virus è stato identiicato mediante PCR utilizzando due protocolli diversi, con due differenti coppie di primers, BFDV2/4 (Ypelaar et al., 1999) e DCiVf/r (Todd et al., 2001). Le PCR hanno permesso di ampliicare due frammenti, del peso molecolare atteso rispettivamente di 700 bp e 550 bp. L’analisi delle sequenze corrispondenti ai frammenti ottenuti hanno confermato l’identiicazione di circovirus, che è stato denominato IT82. Il genoma completo del virus è stato poi ampliicato e sequenziato per l’analisi ilogenetica del virus identiicato.
La sequenza ottenuta è stata comparata inizialmente con quelle corrispondenti ai genomi completi di circovirus identiicati presso il Dipartimento di Medicina Veterinaria in pappagalli appartenenti a specie differenti (tabella 1), e successivamente con le sequenze corrispondenti presenti in GenBank.
Dalla prima analisi sul genoma completo, IT82 identiicato nell’esemplare di gru coronata ha mostrato un’identità nucleotidica del 96% con IT24, individuato nel cacatua e del 95,6% con IT60, riscontrato in un cenerino (tabella 2).
Rispetto a tutti i virus considerati, la sua distanza in termini di differenza percentuale della sequenza nucleotidica, è risultata compresa tra 4 % e 8,6 %.
Strettamente correlato in base alla sequenza nucleotidica ad IT24 ed IT60 (igura 1), IT82 presentava una sequenza ripetuta vicino all’ipotetica origine di replicazione più corta rispetto agli altri stipiti. Inoltre, IT82 condivideva con questi la sequenza ripetuta nella regione compresa tra i nucleotidi 1128 e 1164, ma presentava altre due sequenze ripetute nelle posizioni 1756-1767 e 1808-
1795. Dalla comparazione tra la sequenza di IT82 e le sequenze, presenti in GenBank, corrispondenti a circovirus identiicati in diversi Stati ed in pappagalli di specie diverse, è emerso che IT82 (gru coronata), così come IT24 del cacatua ed IT60 del cenerino, cui risultava strettamente correlato, rientravano in uno stesso cluster che comprendeva circovirus identiicati in psittacidi, tra cui cenerini, parrocchetti dal collare (P. kramerii), e due diverse varietà di rosella (Platycercus) in Polonia ed in Portogallo tra il 2008 ed il 2011 (Julian et al., 2013; Henriques et al., 2010).
In base ai criteri stabiliti da Fauquet et al. (2008) e Varsani et al. (2011), IT82 deve pertanto essere classiicato come BFDV. Tale risultato è particolarmente signiicativo se si considera che la specie in cui è stato identiicato, è molto distante ilogeneticamente dall’ordine Psittaciformes (Hackett et al., 2008).
L’infezione non ha avuto alcuna ripercussione sulla gru risultata infetta. Tuttavia essa assume rilevanza per la possibile trasmissione interspeciica dell’infezione.
Infatti, la gru coronata infetta si trovava in un giardino zoologico dove erano presenti psittacidi, sia pure separati in quanto allevati in voliere diverse, ed è ipotizzabile, anche in base ai risultati delle analisi ilogenetiche, che l’infezione riscontrata nella gru derivi dai pappagalli. Si ritiene infatti improbabile che il virus identiicato nelle penne fosse una semplice contaminazione, in quanto l’estrazione di DNA è stata condotta dalla parte cellularizzata del calamo, separata accuratamente dal resto. Essendo circovirus  stabile nell’ambiente (Todd, D. Circoviruses: immunosuppressive threats to avian species: a review. Avian Pathology, 29, 373-394. 2000), è possibile che il virus sia passato dai pappagalli alla gru facilmente per via indiretta. I pappagalli presenti, che comunque non è stato possibile analizzare, non manifestavano alcuna sintomatologia. Questo è un fenomeno comunemente noto proprio negli psittacidi, in cui l’infezione può decorrere anche asintomaticamente in animali adulti, mentre induce lesioni e mortalità nei giovani. La gru, oltre ad essere un soggetto adulto, rappresenterebbe un ospite non preferenziale per il virus, che vi ha attecchito, ma non ha indotto manifestazioni cliniche riconducibili alla malattia del becco e delle penne.
In ogni caso, la gru potrebbe potenzialmente fungere a sua volta da serbatoio dell’infezione per i pappagalli. Questa possibilità assume particolare rilievo se si considera che la gru è, allo stato libero, un animale migratore che pertanto può veicolare il virus da un’area geograica all’altra, favorendo tra l’altro fenomeni di ricombinazione genetica tra virus insistenti in territori diversi.

14 Settembre 2014

2014 – STUDIO RETROSPETTIVO SULL’INFEZIONE DA MYCOPLASMA IOWAE NEL SETTORE TACCHINO DA CARNE

Il Mycoplasma iowae (MI) è  considerato come specie di interesse per il settore avicolo e nello specifico nel settore tacchino. Tale patogeno in passato ha mostrato un importante impatto sulla produzione, specificatamente attribuito alla scarsa schiudibilità delle uova prodotte da gruppi di riproduttori infetti. Attraverso infezioni sperimentali, eseguite sia su tacchino che su pollo, l’MI ha determinato uno scarso accrescimento, con evidenti alterazioni dello sviluppo osseo, oltre a forme di lieve aerosacculite, artrosinovite ed anormalità del piumaggio.
Al ine di contenere la problematica nel settore tacchino importanti ed efficaci piani di risanamento sono stati applicati in passato. Recentemente sia negli Stati Uniti che in Italia è stato segnalato  l’isolamento di Mycoplasma iowae in tacchini da carne, in cui era stato riscontrato un anormale accrescimento associato a gravi alterazioni ossee (Catania et al., 2012, Ley et al. 2010, Trampel et al., 1994).
Al ine di verificare l’associazione tra Mycoplasma iowae e le problematiche riscontrabili nei gruppi infetti ci siamo proposti di analizzare i dati in nostro possesso ottenuti durante un periodo di 12 mesi, utilizzando i campioni di tacchino industriale conferiti presso il nostro laboratorio come attività diagnostica.

14 Settembre 2014

2014 – FILOGENESI DI CIRCOVIRUS SULLA BASE DELLE SEQUENZE DEL GENOMA COMPLETO IDENTIFICATI IN SPECIE DIVERSE DI PAPPAGALLI

BFDV, Beak and Feather Disease Virus, appartiene alla famiglia Circoviridae e al genere Circovirus (Bassami et al, 1998). A tale genere appartengono virus identiicati in numerose altre specie come il suino, Porcine Circovirus (PCV-1, PCV-2) (Hamel et at, 1998), e virus identiicati nei volatili, nel piccione Pigeon Circovirus (PiCV) (Mankertz et al, 2000), nell’oca Goose Circovirus (GoCV) (Todd et al, 2001b), nel canarino Canary Circovirus (CaCV) (Todd et al, 2001), nell’anatra Duck Circovirus (DuCV) (Todd et al, 2005), nel gabbiano Gull Circovirus (GuCV) (Twentyman et al, 1999), nel Diamante di Gould Finch Circovirus (FiCV) (Shivaprasad et al, 2004), nel corvo australiano Australian raven Circovirus (RaCV) (Stewart et al, 2006), nello storno Starling Circovirus (StCV) (Dayaram et al, 2013), e nel cigno Swan Circovirus (SwCV) (Halami et al, 2008).
BFDV è responsabile nei pappagalli di una la patologia denominata “ Malattia del becco e delle penne” (Psittacine Beak and Feather Disease – PBFD), in virtù della localizzazione tipica delle lesioni riscontrate a livello del becco e delle penne (Gerlach, 1994). La patologia se pur descritta inizialmente in popolazioni di pappagalli selvatici in Australia (Paré et Robert, 2007), attualmente l’infezione è segnalata in tutto il mondo nei pappagalli allevati in cattività a seguito del commercio globale di volatili esotici, ed è stata identiicata in più di 60 specie di psittacidi (Varsani et al, 2011).
Non sempre l’infezione evolve con sintomi speciici evidenti (Circella et al. 2012), ma classicamente la PBFD può manifestarsi in tre diverse forme cliniche, iperacuta, acuta e cronica, in base all’età dei volatili colpiti (Gerlach, 1994). Le lesioni a carico del becco e delle penne appaiono più frequentemente nelle evoluzioni croniche (Todd et Gortazar, 2012). L’infezione è associata ad immunosoppressione che espone i pappagalli all’insorgenza di infezioni secondarie (Todd, 2000).
Le diverse forme con cui la malattia si manifesta sono legate inoltre a numerosi e complessi fattori tra cui la specie colpita, il livello di anticorpi materni, i diversi stipiti coinvolti nell’infezione, la dose infettante e la co-presenza di altri agenti patogeni (de Kloet et de Kloet, 2004).
In questo lavoro sono stati analizzati geneticamente stipiti di circovirus identiicati in pappagalli infetti appartenenti a specie diverse, provenienti da differenti località del centro e sud Italia (tabella 1) ed è stata valutata un’eventuale correlazione tra stipite virale e forma clinica osservata nel soggetto infetto.
Per l’ampliicazione della regione rep sono state allestite due diverse reazioni di PCR, con due differenti coppie di primer, BFDV2/4 (Ypelaar et al., 1999) e DCiVf/r (Todd et al., 2001), che ampliicano due diverse regioni del gene che in parte si sovrappongono. L’intero genoma dei ceppi oggetto di studio è stato ampliicato mediante la tecnica del circolo-rotante (Dean et al., 2001), o mediante primer disegnati sulla base delle regioni conservate del genoma. Per il completamento di tutte le sequenze genomiche secondo la tecnica del cromosome walking, sono stati disegnati e sintetizzati diversi oligonucleotidi.
Le sequenze genomiche ottenute sono state allineate tra loro e con un pannello rappresentativo di genomi di BFDV presenti in GenBank. Il genoma di riferimento di Circovirus del canarino (Todd et al. 2001) è stato utilizzato come radice per le successive analisi ilogenetiche. La dimensione del genoma di tutti i virus identiicati, ampliicati e sequenziati era compresa tra 1.994 pb (IT03) e 2.010 pb (IT213). In tutte le sequenze sono state evidenziate le due ORF, rep e CP. Dall’analisi delle sequenze è emerso che, su tutte, è presente la sequenza altamente conservata TAGTA TTAC, considerata il sito di potenziale origine di replicazione del genoma virale (V arsani et al., 2011), e che alcuni stipiti condividevano altre sequenze ripetute ed invertite soprattutto a monte e a valle dei due geni rep e CP. La struttura di tali regioni ripetute invertite ha i requisiti per originare delle strutture secondarie, pertanto è altamente probabile che si formi una struttura Steam and loop in queste regioni. I ceppi di BFDV nel complesso mostravano una distanza media, in percentuale di posizioni nucleotiche, del 5,9%. Nel particolare è possibile identiicare una sostanziale identità tra i virus identiicati nei cenerini, ad eccezione di mIT60 che mostrava un’identità più elevata con IT24 identiicato nel cacatua. Tale dato risulta molto interessante considerato che i due virus, strettamente correlati ilogeneticamente, venivano identiicati in due volatili appartenenti a due famiglie differenti, Cacatuidae e Psittacidae. Inine i ceppi IT05 e IT06 mostravano un’identità del 100% derivando da due inseparabili che condividevano la stessa gabbia. In base alle percentuali di divergenza nucleotitica (Varsani et al., 2011), è possibile individuare tre diversi ceppi: a (IT05 ed IT06, b comprendente tre varianti: b1 (IT02 ed IT213), b2 (IT24 ed IT60) e b3 (IT30, IT32, IT47 ed IT54), e c (IT03).
Le sequenze genomiche dei virus identiicati sono state comparate con un pannello scelto tra quelle presenti in GenBank. È interessante osservare che i virus riscontrati nei cenerini della variante B3 mostravano un’identità superiore al 98%, con una serie di virus identiicati in Portogallo in cenerini e altri psittaciformi, che ugualmente avevano manifestato un’evoluzione acuta della malattia (Henriques et al., 2010). Dall’analisi dell’albero ilogenetico emerge una parziale speciicità d’ospite di BFDV, dato che alcune varianti sembrano prediligere specie ben precise, anche se le stesse varianti sono state poi identiicate in ospiti di specie piuttosto distanti tra loro. Ad esempio sequenze corrispondenti ad IT03 (identiicato nella cocorita) sono state riscontrate prevalentemente nelle cocorite, ma sono state riportate anche in un cacatua se pur in condizioni di forte promiscuità di specie. Complessivamente l’analisi ilogenetica condotta su un pannello più ampio di virus chiarisce alcuni aspetti critici, come le relazioni clonali tra i ceppi, ma sembra indicare una scarsa specie-speciicità d’ospite, in quanto virus identiicati da specie di pappagalli distanti tra loro entrano a far parte degli stessi clade.
Tuttavia, va considerato che i valori di bootstrap sono piuttosto bassi e quindi le relazioni ilogenetiche tra i virus possono variare notevolmente a seconda della regione genomica di riferimento. Sono state condotte analisi aggiuntive, per chiarire alcuni aspetti delle relazioni ilogenetiche tra gli stipiti oggetto di studio, considerando singolarmente le sequenze dei geni rep e CP e valutando i possibili eventi ricombinativi. Da queste analisi emerge che i ceppi A e B1 abbiano avuto origine da un ancestore comune e che successivamente un evento di ricombinazione che ha coinvolto il gene rep, li abbia separati. Pertanto, la variante b1 può essere riclassiicata come variante A2 del ceppo A. Alla luce di tutte le analisi condotte, i virus analizzati si possono riclassiicare come: ceppo A, variante A1 (IT05 ed IT06); ceppo A, variante A2 (IT02 ed IT213); ceppo B, variante B1 (IT24, IT60 e IT82); ceppo B, variante B2 (IT30, IT32, IT47 e IT54) e ceppo C (IT03).
In conclusione, dalle analisi ilogenetiche si può evincere che sicuramente esiste una certa predisposizione d’ospite di BFDV, ma non è esclusa la possibilità di un passaggio dello stesso stipite ad altre specie, soprattutto in condizioni di forte promiscuità e di contatto ravvicinato. Tali condizioni renderebbero possibile sia l’adattamento di un ceppo a più ospiti, sia la possibilità di coinfezioni nello stesso animale da parte di stipiti diversi, condizione favorevole per l’instaurarsi di eventi di ricombinazione che hanno un ruolo di fondamentale importanza nell’evoluzione di BFDV.
Pertanto per il controllo dell’infezione diventa fondamentale non solo applicare piani di controllo igienico-sanitario, ma anche evitare la stretta promiscuità di specie differenti.

14 Settembre 2014

2014 – CONTAMINAZIONI MICROBICHE DEL SACCO VITELLINO DI PULCINI DI UN GIORNO E VALUTAZIONE DELLA FARMACOSENSIBILITÀ DI CEPPI DI ENTEROCOCCUS SPP.

Durante il secondo giorno d’incubazione dell’uovo, il tuorlo viene circondato da membrane extraembrionali dando origine al sacco vitellino che, attraverso una ricca vascolarizzazione, provvederà a fornire all’embrione i nutrienti necessari al suo sviluppo. Due giorni prima della schiusa il sacco vitellino viene inglobato all’interno della cavità celomatica garantendo una riserva energetica per il pulcino nelle prime 24 ore di vita. La completa scomparsa del residuo del sacco vitellino avverrà tra il 10° e il 14° giorno di vita, a seconda di molteplici fattori tra i quali riveste una particolare importanza la rapidità con la quale il pulcino acquisisce la funzionalità digestiva (Buhr et al. 2006). Grazie alla ricchezza di sostanze nutritive, il contenuto del sacco vitellino rappresenta un ottimo substrato per lo sviluppo di molteplici specie microbiche. Tra queste le più comunemente isolate sono Escherichia coli ed Enterococcus spp. anche se non mancano segnalazioni di contaminazioni del sacco vitellino ad opera di Bacillus cereus, Pseudomonas aeruginosa, Staphylococcus spp., Proteus spp., Salmonella spp., Enterobacter spp., Campylobacter spp., Aspergillus spp. (Buhr et al. 2006; Listera and Barrow, 2008; Cortes et al., 2005; Khan et al., 2004). L’iniammazione dell’ombelico prende il nome di “onfalite” ed è accompagnata da infezione microbica del sacco vitellino. L’onfalite è tra le prime cause di mortalità neonatale e viene solitamente contenuta attraverso la somministrazione di antibatterici nei primi giorni di vita del pulcino (Terregino et al. 2000; Listera and Barrow, 2008). Tra i fattori che possono inluenzare un’incompleta cicatrizzazione ombelicale e l’insorgenza di onfalite si segnalano condizioni ambientali non ottimali quali bassa concentrazione atmosferica d’ossigeno, elevata temperatura e umidità relativa.
Sebbene siano molteplici le informazioni presenti in letteratura circa le specie microbiche contaminanti i sacchi vitellini di soggetti deceduti in seguito ad onfalite, sono scarsi i dati che riguardano lo stato di contaminazione microbica di questi importanti residui embrionali in soggetti sani. Di seguito vengono riportati i risultati di un’indagine batteriologica eseguita su gruppi di pulcini sani di 1 giorno di vita, destinati alla produzione della carne, e i risultati di farmacosensibilità di ceppi di Enterococcus spp. isolati dal sacco vitellino.

15 Dicembre 2013

2012 – 1992 – 2012 PROBIOSI: STORIA O SFIDA?

La microflora gastrointestinale di animali adulti e sani varia enormemente in funzione di numerose e complesse interazioni in grado di inibire la colonizzazione di patogeni invasivi.
Squilibri in tale ecosistema riducono l’effetto di protezione della microflora autoctona fornendo una valida opportunità ai microrganismi patogeni enterici di colonizzare l’intestino.
Questa patologica situazione si può facilmente osservare negli animali durante i periodi di stress o in seguito a somministrazione di antibiotici.
Non è tuttavia da sottovalutare che, anche in situazioni cosiddette normali, i nostri polli da carne, allevati secondo rigide norme di igiene e prevenzione, vivono in modo ben diverso dal fisiologico modo di nascere e crescere naturale.
Solo in un ambito naturale, infatti, i pulcini ricevono quella flora microbica che è parte integrante e inscindibile dall’apparato digerente.
Non è questa la sede per dilungarci in disquisizioni e spiegazioni sulla necessaria presenza di una flora microbica fisiologica per dare quel giusto equilibrio e corretta funzionalità all’apparato digerente. La letteratura, a tal proposito, ci fornisce dettagliato ed abbondante materiale esplicativo  e ad essa rimandiamo.
L’esclusione competitiva e l’apporto diretto di flora microbica, rappresentano quell’intervento di profilassi indiretta operato al fine di migliorare l’equilibrio microbico intestinale.
Durante 20 anni di lavoro di campo si è avuta la possibilità di raccogliere e documentare la potenzialità di tale metodo sul miglioramento dei risultati zoo economici, sul miglioramento del benessere degli animali allevati e sulla possibilità di ridurre l’uso di farmaci antibiotici nell’allevamento (argomento di estrema attualità).
Con il seguente lavoro si intende evidenziare e mettere a disposizione di tutti come la somministrazione  in acqua di bevanda di una flora costituita da cellule vive di specie batteriche selezionate produttrici di acido lattico, specifiche per specie avicole, abbia influito sul miglioramento delle performance produttive di una azienda di produzione broiler.
In pratica vogliamo evidenziare le potenzialità di tale metodo senza false illusioni nè affrettate disillusioni.
Il numero degli animali ed il consolidamento della pratica attraverso la durata della sua applicazione sono garanti della realisticità dei dati mostrati.
Sarà compito di ciascun zoognosta trovare l’eventuale utilità ed i vantaggi che tale metodo potrebbe apportare in ogni singola realtà produttiva e decidere, di conseguenza e secondo i casi, se possa essere conveniente o meno accettare ed utilizzare tale metodo.

15 Dicembre 2013

2012 – VARIAZIONE NEL TEMPO DELLA SENSIBILITÀ DI DERMANYSSUS GALLINAE NEI CONFRONTI DI MOLECOLE ACARICIDE UTILIZZATE IN CAMPO

Dermanyssus gallinae (De Geer, 1978) (Mesostigmata: Dermanyssidae) rappresenta uno dei problemi parassitologici più rilevanti ma anche più sottovalutati che l’avicoltura moderna si trova ad affrontare. Questo acaro, infesta prevalentemente il pollo ed il tacchino, ma è segnalato anche in numerose specie di uccelli selvatici e d’affezione.  È diffuso sia negli allevamenti avicoli a terra sia in quelli in batteria, prediligendo particolarmente le galline ovaiole e i riproduttori (Chauve, 1998).  La sua importanza è evidente se si esaminano le statistiche sulla prevalenza negli allevamenti di vari paesi Europei ed extraeuropei: le prevalenze di D. gallinae, infatti, in numerosi paesi, possono raggiungere valori dell’80-90% (Sparagano et al., 2009), con punte del 100% in alcune aree della Polonia (Cencek, 2003).
D. gallinae è un parassita ematofago obbligato, non permanente in quanto rimane sull’ospite solo il tempo necessario ad effettuare il pasto di sangue (Baker, 1999). Il livello di infestazione sull’animale può essere molto elevato (si stimano popolazioni di acari anche fino a 30.000 per soggetto), e si traduce frequentemente in sintomi clinici e cali della produzione che difficilmente l’allevatore attribuisce all’azione del parassita (Nordenfors et al., 2000).
Questa parassitosi è da considerare senz’altro una patologia professionale; gli acari, infatti, frequentemente infestano gli operatori addetti alla cura degli animali, che riportano rush cutaneo, prurito e dermatite (Cafiero et al., 2011).
D. gallinae è stato anche riconosciuto quale potenziale vettore di vari agenti patogeni (ad es. Salmonella gallinarum, Salmonella enteritidis, Chlamidia psittaci, Erysipe-lothrix rhusiopathiae) per l’uomo o per gli animali (Chirico et al., 2003; Valiente Moro et al., 2009; Circella et al., 2011; Camarda et al., 2012). Questa abilità renderebbe possibile la diffusione e la persistenza di patologie all’interno degli allevamenti anche dopo periodi di vuoto sanitario (Camarda et al., 2012).
Per il controllo delle infestazioni da D. gallinae sono impiegate numerose molecole: carbammati, organofosforici, piretrine e piretroidi, amidine (amitraz) (Chauve, 1998).
Alcune di queste, in particolare Amitraz, Piretrine e Piretroidi sono comunemente e dichiaratamente impiegate negli allevamenti avicoli italiani (Cafiero et al., 2010).
Un fattore limitante all’uso degli acaricidi negli allevamenti consiste nel loro divieto di utilizzazione in presenza di animali. Da pochi anni, è stata introdotta sul mercato una molecola appartenente alla classe degli organofosforici (phoxim) (ByeMite, Bayer®) caratterizzata da un periodo di sospensione di sole 12 ore e pertanto impiegabile anche in capannoni in cui siano accasati animali.
La riduzione dell’efficacia degli acaricidi segnalata in campo dagli operatori del settore, ma anche da recenti risultanze sperimentali (Marangi et al., 2009) ha ispirato il presente lavoro in cui tre diverse molecole acaricide, appartenenti alle classi più frequentemente impiegate negli allevamenti, sono state testate in vitro su popolazioni di D. gallinae provenienti da aziende avicole distribuite sul territorio italiano. La ricerca, condotta in un arco di tempo di circa 5 anni, ha inteso valutare l’evoluzione della sensibilità manifestata dalle popolazioni di acari nel tempo.

15 Settembre 2013

2013 – VALUTAZIONE DELL’EFFICACIA DI FITOCSC® NEI CONFRONTI DI CEPPI DI E. COLI E SALMONELLA SPP. ANTIBIOTICO-RESISTENTI ISOLATI DAL POLLAME

Numerosi studi hanno evidenziato, negli ultimi anni, le potenzialità dell’utilizzo degli estratti vegetali e degli oli essenziali quali sostitutivi dell’uso di antibiotici quali promotori di crescita e regolatori della microlora intestinale nel settore zootecnico.
Tra gli effetti principali risulta particolarmente interessante l’attività inibitoria nei confronti di microrganismi patogeni antibiotico-resistenti vista la diffusione crescente di questo fenomeno.
Questo studio preliminare è stato svolto allo scopo di valutare l’eficacia antibatterica in vitro del prodotto Fito CSC®, formulato per l’aggiunta all’acqua di bevanda negli allevamenti avicoli, nei confronti di ceppi di batteri antibiotico-resistenti di provenienza avicola. Il prodotto contiene prodotti naturali botanicamente deiniti:  Cassia (Cinnamomum aromaticum; contenuto in trans-cinnamaldeide pari al 4.60%), Origano (Origanum vulgare) e Timo (Thymus vulgaris) (titolo totale 100.000 mg/kg), additivi organolettici, sostanze aromatiche e acido citrico (11.000 mg/kg) con funzione conservante. L’analisi preliminare del prodotto ha dato i seguenti risultati: sostanza secca 13%, ibra grezza 0.5%, proteina grezza < 0.5%, grassi 0%, ceneri 5%, Na 1,9%, Cl 3%, pH 4.89.
Per il test sono stati utilizzati 6 ceppi di Escherichia coli e 1 ceppo di Salmonella Typhimurium isolati da avicoli e selezionati per la presenza di resistenza antibiotica, come riportato nella tabella.
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