Atti dei convegni

18 Novembre 2002

2002 – APPLICAZIONE DI RT-PCR E METODICHE TRADIZIONALI NELLA RICERCA DI VIRUS INFLUENZALE DI TIPO A IN CORSO DI INFEZIONE SPERIMENTALE IN ANATRE

L’influenza aviaria si è recentemente manifestata in Italia con due epidemie tra gli anni 1997 e 2000. La prima, sostenuta da un virus influenzale ad elevata virulenza (HPAI) appartenente al sottotipo H5N2, la seconda epidemia, sostenuta da virus H7N1, ha duramente colpito il patrimonio avicolo nazionale (1).
La costante circolazione di virus influenzale è stata inoltre dimostrata in anatidi selvatici svernanti in Italia, a ribadire l’importanza di queste specie nella perpetuazione del virus influenzale in natura (4). Va ricordato inoltre che i virus influenzali suini circolanti in Italia e in Europa derivano dal riassortimento genetico tra virus aviari ed umani (2). Non va inoltre sottaciuta la possibilità di trasmissione di ceppi aviari alla specie umana come recentemente avvenuto in Hong Kong (3). Considerati i poliedrici aspetti epidemiologici, viene a rivestire particolare importanza la tempestività della diagnosi di influenza e quindi la disponibilità di uno strumento di rapida conferma del sospetto di infezione . In tal senso l’applicazione di RT-PCR nella ricerca di virus influenzali ha fornito esiti confortanti (7). In questo studio si è voluto confrontare l’utilizzo di metodiche diagnostiche diverse nella dimostrazione di virus influenzale da tamponi cloacali prelevati nel corso di una prova di infezione sperimentale di anatre germanate con virus influenzale H7N1 a bassa patogenicità isolato dal tacchino. La valutazione comparativa ha previsto l’inoculazione di uova embrionale (UE), ritenuta il “gold standard”, l’infezione di tre linee cellulari e l’applicazione di RT-PCR atta all’amplificazione di regioni geniche della matrice (M) e della nucleoproteina (NP) dei virus influenzali di tipo A.

18 Novembre 2002

2002 – INDAGINE SULLA PRESENZA DELLA MALATTIA DEL BECCO E DELLE PENNE DEGLI PSITTACIDI (PBFD) IN PAPPAGALLI D’IMPORTAZIONE

La malattia del becco e delle penne degli psittacidi (Psittacine Beak and Feather Disease) è una patologia virale ad andamento acuto nei soggetti giovani e cronico negli adulti. Determina distrofia e perdita delle penne, accrescimento abnorme del becco con fratture e necrosi del palato. L’esito della malattia è quasi sempre infausto a causa dell’azione immunosoppressiva del virus (3,6). Il virus è stato identificato in Australia nel 1984 (4). Attualmente si conosce la diffusione di questa patologia nelle popolazioni selvatiche di cacatua, roselle, ondulati e lori in Australia (5). La percentuale di soggetti positivi in queste popolazioni può andare dal 20% al 75%. E’ stata segnalata anche in popolazioni selvatiche di cacatua nelle Molucche e nelle Filippine e si presume sia diffusa in tutta l’Indonesia (6). A causa dell’intenso commercio di pappagalli, la PBFD si è diffusa in tutti i continenti ed è segnalata in oltre 40 specie di pappagalli allevati in Europa, Stati Uniti e Asia (3). In una stazione d’importazione di uccelli, negli USA, venne rilevato lo 0,5% di cacatua positivi alla PBFD.
Non vi sono ancora segnalazioni di soggetti positivi alla malattia in popolazioni selvatiche del Centro e Sud America(3).
Vista la presenza della PBFD in pappagalli presenti in Italia (1) abbiamo voluto, con questa indagine, verificare quanto l’importazione di pappagalli possa contribuire alla diffusione della malattia.

18 Novembre 2002

2002 – TIPIZZAZIONE DI CEPPI DI CAMPYLOBACTER JEJUNI ISOLATI IN ALLEVAMENTI DI GALLINE OVAIOLE DELL’ITALIA MERIDIONALE

Campylobacter (C.) jejuni viene riconosciuto tra gli agenti più frequentemente coinvolti come causa di tossinfezioni alimentari nell’uomo (7). Il pollame è considerato il serbatoio principale del germe, le cui caratteristiche biologiche e genetiche sono ancora oggi scarsamente conosciute. Si è ritenuto, pertanto, di effettuare ricerche sulla tipizzazione di ceppi C. jejuni isolati in allevamenti intensivi di galline ovaiole. I germi sono stati biotipizzati secondo la metodica di Lior (3) e sottoposti a PCR-RFLP della flagellina A.

18 Dicembre 2001

2001 – PROVA DI CROSS-PROTEZIONE NEI CONFRONTI DELLA VARIANTE BRONCHITE INFETTIVA 624/I UTILIZZANDO VACCINI COMMERCIALI CONTENENTI LE VARIANTI M41 E 793/B

Il virus della bronchite infettiva (IB) è un Coronavirus, prototipo della famiglia Coronaviridae. E’ un virus pleomorfo, di 90-200 nm di diametro, con genoma RNA a singolo filamento.
Utilizzando il test di virus-neutralizzazione sono stati identificati numerosi sierotipi, diversi sotto il profilo antigenico, ma tutti con alcune componenti antigeniche comuni. Tra i sierotipi “storici” sono da ricordare il Massachusetts ed il Connecticut, i quali prediligono il tratto respiratorio, mentre i sierotipi T, Gray e Holte sono prevalentemente nefrotropici.
Negli ultimi anni sono state isolate e caratterizzate diverse nuove varianti in Europa (1,7,8,10), mentre altre sembrano persistere ormai da diverso tempo (4) ed altre ancora sembrano riemergere dopo diversi anni (6).
In Italia la malattia è presente sia negli allevamenti di broiler (con forme morbose respiratorie e renali) che negli allevamenti di ovaiole e di riproduttori pesanti.
Nel nostro paese circolano ceppi diversi tra cui l’M41, il 793/B (CR88 o UK 4-91), il ceppo nefropatogeno belga B1648 e le varianti italiane FA 6881 e 624/I (2,10). Quest’ultimo sierotipo è stato isolato da focolai diagnosticati in varie regioni italiane negli ultimi anni.
Vaccini efficaci contro la bronchite sono disponibili in commercio già dagli anni ’50. Nonostante il loro largo impiego, la bronchite infettiva rimane ancora uno dei principali problemi per l’allevamento avicolo a motivo principalmente della variabilità antigenica dell’agente eziologico.
In particolare la proteina S è risultata estremamente variabile, specie la subunità S1. Numerosi sierotipi noti differiscono tra di loro anche per più del 20% degli aminoacidi di questa proteina (9). Altri nuovi sierotipi possono invece essere il risultato del cambiamento di pochissimi aminoacidi della subunità S1 (3) mentre altri epitopi rimangono invariati. Poiché diversi antigeni sono in comune tra i numerosi ceppi conosciuti è probabile che uno stesso vaccino possa risultare protettivo verso differenti sierotipi. E’ stato infatti dimostrato (5) che la duplice vaccinazione con vaccino IB vivo M41 al primo giorno di vita e 793/B a due settimane di età induce una buona protezione nei confronti di alcuni dei principali sierotipi IBV che attualmente causano problemi di bronchite infettiva (5).
Obiettivo del presente lavoro è stato quello di valutare se l’immunità indotta da programmi vaccinali contenenti le varianti M41 e 793/B sono in grado di proteggere il pollo verso una infezione sperimentale con la variante 624/I.

18 Dicembre 2001

2001 – UTILIZZO DI UN VACCINO ETEROLOGO NEI CONFRONTI DELL’INFLUENZA AVIARIA COME VACCINO “MARKER”: PROVA DI CROSS-PROTEZIONE E VALIDAZIONE PRELIMINARE DEL TEST DISCRIMINATORIO

L’Influenza aviaria (IA) è una malattia altamente contagiosa dei volatili sostenuta da Orthomyxovirus di tipo A. Questa malattia è in grado di causare ingenti danni economici (diretti ed indiretti) all’allevamento avicolo intensivo e per questo è stata inclusa nella Lista A dell’Office International des Epizooties, (OIE) che comprende le malattie altamente diffusive degli animali.
Come per altre malattie infettive presenti nella lista A dell’OIE, la vaccinazione è vietata nei paesi dell’ Unione Europea (UE) (2), onde evitare l’interferenza con i piani di siero-sorveglianza ed eradicazione. La possibilità quindi di poter disporre di vaccini marker che rendano agevole la distinzione tra animali vaccinati ed animali infetti risulterebbe di notevole utilità. Le moderne tecniche di ingegneria genetica hanno portato allo sviluppo di vaccini vivi ingegnerizzati, i quali hanno inevitabilmente incontrato grossi ostacoli in fase di registrazione.
Nel corso del 1999/2000 l’Italia settentrionale è stata colpita da una grave epidemia influenzale causata dal sierotipo H7N1 che ha portato alla morte o al depopolamento di circa 14 milioni di volatili allevati intensivamente, principalmente tacchini e polli (1).
Come ultima ratio nel controllo dell’epidemia si è dovuto ricorrere ad una profilassi vaccinale e, alla luce delle considerazioni sopra esposte, si è fatto ricorso all’utilizzo di un vaccino convenzionale inattivato di facile produzione, contenente un ceppo influenzale eterologo H7N3. Tale scelta è derivata dalla consapevolezza che la proteina dell’emoagglutinina è responsabile della produzione di anticorpi neutralizzanti (3), e che quindi qualunque virus H7 è in grado di stimolare la sintesi di anticorpi protettivi. La neuraminidasi (N) eterologa, avrebbe pertanto le potenzialità di essere sfruttata come marker naturale.
Nel presente lavoro si riportano i risultati clinici delle prove di cross-protezione in vivo fra il virus HPAI H7N1 ed il vaccino eterologo H7N3, e la messa a punto di un test sierologico discriminatorio, in grado di distinguere fra i soggetti infetti ed i soggetti vaccinati.

18 Dicembre 2001

2001 – INFEZIONE OCULARE DA MYCOPLASMA GALLISEPTICUM IN VARIE TIPOLOGIE D’ALLEVAMENTO

Mycoplasma gallisepticum (MG) è l’agente eziologico della “malattia cronica respiratoria” del pollo e della sinusite infettiva del tacchino, malattie responsabili di significative perdite economiche nei soggetti da carne, nei riproduttori e nelle galline ovaiole. Nel broiler MG può causare indici di mortalità del 5-10%, peggioramento degli indici di conversione ed elevati scarti (fino al 10-20%) alla macellazione. Nei riproduttori e nelle ovaiole si possono verificare cali di deposizione del 10-20%, spesso associati ad alterazione della qualità del guscio e, nei riproduttori, a indici di mortalità embrionale del 5-10%. Nella sua forma più classica la malattia sostenuta da MG è caratterizzata da tosse, rantoli, scolo nasale, sinusite, tracheite e dalla comparsa di gravi lesioni ai sacchi aerei (4). Sono rare le descrizioni di episodi di infezione da MG a livello oculare(2,3). Durante la primavera del 2001 sono stati isolati, in varie regioni italiane, ceppi di MG localizzati esclusivamente o prevalentemente nella congiuntiva dei soggetti colpiti.
Scopo del presente lavoro è descrivere gli aspetti clinico-epidemiologici di questi casi e le metodiche diagnostiche utilizzate.

18 Dicembre 2001

2001 – ISOLAMENTO E IDENTIFICAZIONE DEL VIRUS DELLA LEUCOSI AVIARE

I virus della leucosi/sarcoma aviare (ALSV) sono retrovirus di tipo C responsabili di una serie di malattie neoplastiche benigne e maligne che colpiscono le specie avicole e, in particolare, il pollo (3). Tali virus presentano un antigene comune, gruppo-specifico, denominato p27 e rilevabile mediante l’impiego di tecniche diagnostiche quali l’ELISA e la fissazione del complemento. Esiste inoltre una glicoproteina dell’envelope virale, chiamata gp85, responsabile della suddivisione degli ALSV nei sottogruppi A, B, C, D, E e J. Al sottogruppo E appartengono i cosiddetti “virus endogeni” il cui DNA è integrato nel genoma delle cellule di quasi tutte le linee genetiche di pollo. Fino a qualche anno fa la forma patogena più comune, causata dai sottogruppi A, B, C, e D, era la leucosi linfoide. Di più recente comparsa è la leucosi mieloide, sostenuta dal sottogruppo J e osservata inizialmente in alcune linee di riproduttori pesanti. Nell’ambito delle malattie neoplastiche si impone pertanto una corretta diagnosi differenziale tra le varie forme di leucosi aviare e la malattia di Marek. Non sempre, infatt, le lesioni macro e microscopiche consentono una diagnosi eziologica certa, considerando anche la possibile concomitanza di entrambe le forme virali. Scopo del presente lavoro è illustrare l’impiego di un importante strumento diagnostico basato sull’isolamento degli ALSV su colture di fibroblasti di embrione di pollo appartenenti ad una linea genetica indenne e resistente ai virus endogeni (1).

18 Dicembre 2001

2001 – ISOLAMENTO E TIPIZZAZIONE PRELIMINARE DI UNA POTENZIALE NUOVA VARIANTE DEL VIRUS DELLA BRONCHITE INFETTIVA AVIARE

Negli ultimi anni, la bronchite infettiva aviare sta causando notevoli problemi sanitari ed economici nella industria avicola italiana, specialmente nel settore dei broilers, ma anche nelle ovaiole e nei riproduttori. Ciò è in parte dovuto alla notevole variabilità antigenica dei ceppi virali coinvolti che, malgrado l’uso diffuso negli allevamenti intensivi di presidi immunizzanti con il ceppo classico M41 e talvolta con il ceppo 4/91 (793B), continuano a determinare la comparsa di forme cliniche causa di rilevanti perdite economiche.
Anche il tropismo virale diviene sempre più variabile e si manifesta con differenti forme cliniche, dalle respiratorie o renali più frequenti nei broilers a quelle caratterizzate da calo di vodeposizione ed alterazione della qualità del guscio tipiche di ovaiole e riproduttori.
A partire del 1956 (2), si sono progressivamente identificati nuovi sierotipi o varianti di IBV nei vari continenti, isolati anche da polli vaccinati con il ceppo classico Massachusetts. A tutt’oggi sono stati riportati oltre 60 sierotipi e, tuttavia, si pensa che solo una piccola parte di quelli esistenti sia stata individuata.
L’elevata variabilità del virus sarebbe riconducibile fondamentalmente alle modificazioni che si verificano a carico di una sola proteina strutturale, la proteina S degli spikes, la cui sequenza aminoacidica, nei diversi sierotipi, può presentare variazioni, a volte anche solo di pochi aminoacidi (1).
Lo scopo del presente lavoro è quello di riferire in merito all’isolamento di un ceppo del virus della bronchite infettiva aviare (BS 216/01) che, in base alla tipizzazione preliminare, potrebbe rappresentare una nuova variante.

18 Dicembre 2001

2001 – VALUTAZIONE DELL’EFFICACIA NEL BROILER DI DIVERSI PIANI VACCINALI CONTRO LA MALATTIA DI NEWCASTLE

In seguito alla recente epidemia di Malattia di Newcastle il Ministero della Sanità ha emanato un piano nazionale di vaccinazione con lo scopo di aumentare l’immunità della popolazione avicola
italiana nei confronti di questa malattia. Il piano nazionale inizialmente prevedeva per i broiler almeno due interventi vaccinali: il primo all’incubatoio (1 giorno di vita) mediante l’utilizzo di un vaccino vivo attenuato, seguito da almeno un richiamo con vaccino inattivato.
In seguito alla richiesta del mondo produttivo l’obbligatorietà dell’uso di un vaccino spento come richiamo è venuta meno, tuttavia è stata confermato l’obbligo della vaccinazione e dei due interventi. La sommini-strazione di vaccino inattivato per via parenterale stimola una valida risposta umorale (2), necessaria alla completa protezione dall’infezione.
L’immunità cellulo-mediata, infatti, non è sufficiente da sola a proteggere dal challenge con virus patogeno, che invece si ottiene in presenza di titolo anticorpale (1). Da tempo inoltre è noto che, in caso di infezione, all’aumentare del titolo anticorpale indotto dalla vaccinazione diminuisce la durata e la quantità di virus escreto dagli animali infetti (3). Scopo del presente lavoro è quello di confrontare l’efficacia dei piani vaccinali che prevedono l’impiego di un vaccino inattivato con quelli che prevedono esclusivamente l’uso di vaccini vivi attenuati.

18 Dicembre 2001

2001 – RICERCHE SULLA SOPRAVVIVENZA DI C. JEJUNI SUL GUSCIO DI UOVA DA CONSUMO. REPLICAZIONE DEL GERME NEL CONTENUTO DI UOVA INFETTATE SPERIMENTALMENTE

Le tossinfezioni alimentari da Campylobacter jejuni vengono segnalate con frequenza sempre maggiore (1). Principale serbatoio del germe è considerato il pollame, dal quale il Campylobacter (C.) jejuni è isolato dall’apparato gastroenterico e dalle carcasse (1, 3). Precedenti nostre ricerche (2) effettuate in allevamenti commerciali hanno evidenziato che Campylobacter jejuni può riscontrarsi con notevole frequenza anche nell’apparato riproduttore di galline ovaiole in deposizione, nonché sul guscio delle uova deposte (in percentuale variabile dal 2,5% al 22,2% in relazione al grado di imbrattamento del guscio). Resta ancora poco chiaro il ruolo svolto dalle uova nella epidemiologia della trasmissione dell’infezione all’uomo. Si è inteso, pertanto, verificare la sopravvivenza del Campylobacter jejuni sul guscio di uova infettate sperimentalmente nonché la sua capacità di penetrazione attraverso i pori e di contaminazione del contenuto dell’uovo. È stata altresì valutata la capacità di replicazione del germe in albume e tuorlo infettati sperimentalmente e tenuti in diverse condizioni di temperatura.

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