Atti dei convegni

13 Dicembre 2020

2020 – ANALISI GENOMICA DI CAMPYLOBACTER JEJUNI E CAMPYLOBACTER COLI ISOLATI DA ORGANI PARENCHIMATOSI DI POLLI DA CARNE E GALLINE OVAIOLE CON LESIONI RICONDUCIBILI AD AVIAN VIBRIONIC HEPATITIS/SPOTTY LIVER DISEASE

Campylobacter termofili, in particolare C. jejuni e C. coli, sono batteri ben adattati alle specie aviari in cui colonizzano il tratto gastroenterico, frequentemente senza causare malattia (Sahin et al., 2017). Tuttavia, diversi studi riportano come anche nelle specie aviari Campylobacter termofili siano in grado di lasciare l’intestino, invadendo e danneggiando la mucosa intestinale e conseguentemente di colonizzare organi parenchimatosi, tra cui il fegato (Sanyal et al., 1984; Van Deun et al., 2007). L’abilità di C. jejuni e C. coli di colonizzare il fegato del pollo pone dei dubbi rispetto al concetto che vede Campylobacter quale commensale in questa specie e, al tempo stesso, solleva interrogativi di sicurezza alimentare legati a casi di campilobatteriosi umana riconducibile al consumo di fegato di pollo (Cox et al., 2007; Crawshaw et al., 2015; Jennings et al., 2011; O’Leary et al., 2009). C. jejuni è stato isolato da fegato di polli affetti da Epatite vibrionica aviaria (AVH), una condizione caratterizzata da inspessimento e opacizzazione della glissoniana e incostante presenza di flebili lesioni necrotiche multifocali disseminate, associata ad un calo nella produzione di uova di circa il 10-25% e a un aumento della mortalità che può raggiungere il 15% (Crawshaw & Young, 2003; Grimes & Reece, 2011; Hofstad et al., 1958; Sevoian et al., 1958). Tuttavia, non è stato possibile riprodurre sperimentalmente la malattia impiegando ceppi di C. jejuni derivati dal pollame (Jennings et al., 2011), suggerendo che tale microrganismo possa causare AVH solo in presenza di fattori predisponenti (es. condizioni di stabulazione sfavorevoli, stress, stati d’immunodepressione dell’ospite, ecc). Una condizione simile all’AVH, chiamata Spotty liver disease (SLD), è comparsa a partire dagli anni 2000 (Crawshaw & Young, 2003). Una nuova specie di Campylobacter termofilo, denominato C. hepaticus (Crawshaw et al., 2015; Van et al., 2016), è stato isolato da focolai di SLD e si è dimostrato in grado di riprodurre la malattia in studi d’infezione sperimentale, causando le classiche lesioni macroscopiche e microscopiche osservate in casi di SLD (Crawshaw et al., 2015; Van et al., 2017). Nel presente studio, riportiamo la caratterizzazione molecolare dell’intero genoma di nove isolati di C. jejuni e cinque isolati di C. coli ottenuti da fegato e milza di polli da carne, galline ovaiole e capponi che mostravano lesioni macroscopiche simili a quelle riscontrate in casi di AVH / SLD. In particolare, mediante un’analisi genomica comparativa dei quattordici isolati, dieci ceppi di riferimento di C. jejuni, dieci di C. coli e uno di C. hepaticus, è stata investigata la presenza di fattori di virulenza potenzialmente associati alla malattia osservata.

13 Dicembre 2020

2020 – STUDIO DELLA CIRCOLAZIONE DEL VIRUS DELLA BURSITE INFETTIVA NEGLI ALLEVAMENTI DI POLLASTRE DELLA LINEA OVAIOLA DA CONSUMO NEL PERIODO MAGGIO – SETTEMBRE 2019

Il virus della bursite infettiva (IBDV), agente eziologico della bursite infettiva del pollo (IBD), appartiene alla Famiglia Birnaviridae, genere Avibirnavirus e provoca un’infezione altamente contagiosa nel pollo, soprattutto fra 3 e 6 settimane di vita (4). Possiede tropismo linfatico prediligendo come sede di infezione la borsa di Fabrizio, dove provoca una grave deplezione linfocitaria. L’importanza economica della malattia che ne consegue è legata all’azione patogena diretta del virus (in grado di provocare significativi indici di mortalità) e ai suoi effetti immunodepressivi con conseguente maggiore sensibilità dei gruppi colpiti ad infezioni secondarie e minore risposta immunitaria alle vaccinazioni. Sono stati identificati due sierotipi di IBDV , denominati 1 e 2, di cui solamente il primo è riportato come patogeno nel pollo. A questo sierotipo appartengono diverse varianti classificate da un punto di vista genomico o patogenico: tra questi sono annoverati i ceppi “classici”, le varianti immunosoppressive e i ceppi “very virulent” (vvIBDV). Il controllo della malattia in allevamento, anche a causa dell’elevata resistenza del virus a diversi agenti chimici e fisici, si basa sulla profilassi vaccinale. Esistono diverse tipologie di presidi immunizzanti: vaccini vivi attenuati somministrati in allevamento, ad immunocomplessi (vaccino vivo attenuato legato ad anticorpi specifici nei confronti del virus), vettori virali (Herpesvirus del tacchino – HVT) ingegnerizzati in modo da esprimere la proteina di superficie VP2 di IBDV (9). Scopo del presente lavoro è la raccolta di dati sulla circolazione di ceppi di campo di IBDV in allevamenti di pollastre future ovaiole da consumo sottoposti a differenti programmi vaccinali.

13 Dicembre 2020

2020 – RICOSTRUZIONE TRAMITE UN APPROCCIO FILODINAMICO DELLA CIRCOLAZIONI DI AVIAN METAPNEUMOVIRUS SOTTOTIPO B IN EUROPA

Il Metapneumoviru aviare (aMPV) è un patogeno che colpisce in particolare il pollo e il tacchino, sebbene altre specie possano essere infettate. È associato a infezioni del tratto respiratorio superiore che possono portare a rilevanti manifestazioni cliniche e conseguenti perdite economiche, in particolar modo in presenza di infezioni secondarie. aMPV è classificato nella famiglia Pneumoviridae, genere Metapneumovirus, ed è caratterizzato da un genoma a singolo filamento di RNA con polarità positiva della lunghezza di circa 15 Kb, contenente 8 geni: Nucleprotein (N), Phosphoprotein (P), Matrix (M), Fusion (F), Matrix2 (M2), Small hydrophobic (SH), Attachment (G) e Large polymerase (L). I geni L e P codificano per proteine non strutturali, implicate nella replicazione del genoma virale, mentre le restanti codificano per i componenti del capside, della matrice e dell’envelope virale (Cecchinato et al., 2017). Fra queste, la maggior parte degli studi si sono focalizzati sulla proteina G, una proteina dell’envelope necessaria per l’adesione virale alla cellula. Sfortunatamente, non sono ad oggi disponibili studi fini inerenti l’interazione di questa proteina con i recettori dell’ospite e con la sua risposta immunitaria. Cionondimeno, essa è considerata il principale target della risposta immunitaria, in funzione del suo ruolo biologico e della localizzazione sulla superfice virale. Studi preliminari hanno suggerito la presenza di epitopi della risposta cellulare e l’evoluzione direzionale di questa proteina dopo l’introduzione della vaccinazione ne lascia presuppore una significativa rilevanza immunologica. La variabilità genetica del gene G ne ha inoltre determinato l’uso per studi epidemiologici e filogenetici, favorendo una certa attività di sequenziamento. Dopo la sua prima identificazione in Sud Africa sul finire degli anni ’70, aMPV e le sindromi da esso causate sono state descritte in diversi stati Europei: Regno Unito, Francia, Spagna, Germania, Ungheria e Italia (Cecchinato et al., 2017). Successivamente la sua presenza è stata riportata a livello mondiale. Sulla base della variabilità genetica sono stati identificate 4 sottotipi (A-D) (Juhasz and Easton, 1994). Tradizionalmente i sottotipi A e B sono stati considerati la principale minaccia per l’allevamento europeo, tuttavia studi recenti stano progressivamente evidenziando una sostanziale assenza del sottotipo A, a favore di aMPV-B (Franzo et al., 2017b; Tucciarone et al., 2018; Andreopoulou et al., 2019). Paradossalmente, nonostante la rilevanza di questo sottotipo e la crescente preoccupazione sia nel mondo scientifico che fra i veterinari di campo, le nostre conoscenze sulla reale epidemiologia, pattern di diffusione, dinamiche di popolazione ed evoluzione di aMPV-B sono, ad oggi, scarse. Per cercare di colmare questa lacuna, nel presente studio è state eseguita una analisi filodinamica su un ampio database di sequenze parziali del gene G ottenute da ceppi europei di aMPV-B.

13 Dicembre 2020

2020 – ATTIVITÀ ANTICOCCIDICA IN VITRO DI ESTRATTI VEGETALI

I coccidi del genere Eimeria sono importanti parassiti aviari che causano gravi enteriti, con conseguenti perdite economiche nel settore avicolo, stimate a oltre 3 miliardi di dollari all’anno (Cobaxin-Cardenas, 2018). Le specie di Eimeria principalmente coinvolte nell’insorgenza della malattia sono cinque: E. acervulina, E. maxima, E. brunetti, E. necatrix ed E. tenella, con le ultime tre associate al più alto tasso di mortalità e maggior parte dei sintomi, mentre le altre comportano manifestazioni subcliniche, che sono spesso più difficili da riconoscere (Quiroz-Castañeda & Dantán-González, 2015). Inoltre, i coccidi possono contribuire all’insorgenza di infezioni secondarie, come la clostridiosi, fattore scatenante di gravi enteriti necrotiche (Moore, 2016). Le strategie di controllo della malattia includono l’uso di ionofori e farmaci anticoccidici sintetici applicati con programmi di rotazione o vaccinazione con oocisti di Eimeria vive. Tuttavia, i vaccini possono innescare reazioni indesiderate che influenzano le prestazioni di crescita e soprattutto, di recente, sono stati documentati molti casi di resistenza ai farmaci anticoccidici (Abbas, Colwell, & Gilleard, 2012). Di conseguenza, la ricerca si sta ora concentrando sullo studio di nuove alternative per controllare questi agenti patogeni (Peek H.W., 2011). I prodotti di origine botanica sono ben noti per la loro attività antimicrobica e antiparassitaria, quindi possono rappresentare uno strumento prezioso contro Eimeria (Cobaxin-Cardenas, 2018). I meccanismi di azione antimicrobico di queste molecole comprendono la degradazione della parete cellulare, il danneggiamento del citoplasma, la perdita di ioni con riduzione del gradiente protonico e anche l’induzione dello stress ossidativo, che portano all’inibizione dell’invasione e dello sviluppo intracellulare delle specie di Eimeria (Abbas et al., 2012; Nazzaro, Fratianni, de Martino, & Coppola, 2013). Questi composti sono spesso testati in vivo, ma le problematiche etiche per il benessere degli animali e gli alti costi di sperimentazione stanno spingendo verso lo sviluppo di nuovi metodi in vitro per test di screening (Singh et al., 2016). Tra i composti di origine botanica, timolo, carvacrolo e le saponine sono molecole promettenti perché possono interferire con la permeabilità della membrana dei patogeni, causando una cascata di reazioni che coinvolgono l’intera cellula causandone la morte (Nazzaro et al., 2013). Questi composti si trovano naturalmente in diverse piante: timolo e carvacrolo sono i principali componenti di origano, timo e basilico (Sakkas & Papadopoulou, 2017), mentre le specie del genere Quillaja e Yucca sono fonti comuni di saponine, glicosidi anfipatici con funzione di difesa (Francis, Kerem, Makkar, & Becker, 2002). Anche l’aglio e il suo olio essenziale sono da tempo noti come potenti composti antimicrobici, antiparassitari e antiinfiammatori, e di recente ne sono stati anche documentati effetti benefici sul benessere animale in seguito a challenge in vivo con oocisti di Eimeria (Ali, Chand, Ullah Khan, Naz, & Gul, 2019).
Lo scopo di questo studio è valutare l’effetto antiparassitario di diverse miscele di timolo, carvacrolo, saponine e olio di aglio sull’efficienza di infestazione degli sporozoiti di Eimeria in vitro. Il protocollo è stato messo a punto in modo da testare presunti composti anticoccidici su campioni di campo, rispettando così il benessere degli animali e evitando il loro sacrificio, come descritto dalle linee guida delle “3Rs” (Russel, W.M.S and Burch, 1959).

13 Dicembre 2020

2020 – INDAGINI DIAGNOSTICHE IN EPISODI DI CORIZZA DEL FAGIANO RIPRODUTTORE

La corizza infettiva è una malattia acuta respiratoria del pollame, causata da un coccobacillo Gram negativo denominato Avibacterium paragallinarum, un tempo noto come Haemophilus paragallinarum (Blackall and Soriano, 2008). Essa si presenta più frequentemente nel pollo, ma è stata descritta anche in altre specie come il tacchino, il fagiano, la faraona e la quaglia. (Blackall and Hinz, 2008)
Questa malattia colpisce primariamente le vie aree superiori ed è caratterizzata da elevata morbilità e scarsa mortalità, ma poiché fortemente debilitante, causa gravi perdite in termini di incrementi ponderali giornalieri e di uova deposte (Blackall and Hinz, 2008).
Condizioni ambientali sfavorevoli e infezioni concomitanti, sostenute da altri batteri (Mycoplasma spp, Pasteurella spp e E. Coli) e/o virus, predispongono a forme più severe e prolungate (Blackall and Hinz, 2008).
Secondo alcuni autori, solo il pollo (Gallus gallus) sarebbe sensibile all’infezione sostenuta da A. paragallinarum. Nelle specie sopra citate, un gran numero di batteri, di cui molti non ancora classificati e appartenenti alla famiglia Pasteurellaceae (Christensen et al., 2009), sarebbe stato isolato da casi di malattia delle vie aeree superiori, ma nessuno di questi si identificherebbe con A. paragallinarum (Blackall and Chen, 2015).
Esiste poi un quadro ben noto come “corizza del tacchino”, sostenuto da un batterio completamente diverso, Bordetella avium (Jackwood and Saif, 2008). Pertanto, solo studi che si avvalgono di dettagliati approfondimenti di batteriologia o di biologia molecolare, possono realmente escludere o confermare il coinvolgimento di A. paragallinarum da specie che non ne costituiscono l’ospite naturale (Blackall and Soriano, 2008).
Il quadro di sinusite o “occhio gonfio” (bulgy eyes) è la manifestazione clinica più importante di malattia delle vie aeree superiori del fagiano (Phasianus colchicus), nonché la principale causa infettiva di morte nell’allevamento di questa specie, secondo alcuni autori (Pennycott, 2000; Welchman, 2016), già descritta a partire dal 1958 in UK (Keymer, 1961).
Studi condotti negli anni successivi hanno portato a credere che la sinusite del fagiano sia il risultato di una infezione sostenuta primariamente da Micoplasmi, nello specifico da M. gallisepticum, e che altri agenti causali infettivi e non, giocherebbero un ruolo importante sulla gravità del quadro clinico osservato (Welchman et al., 2002). Scopo del presente lavoro è stato quello di indagare gli agenti infettivi coinvolti in episodi ricorrenti di sinusite, osservati in un allevamento di fagiani allevati a scopo venatorio.

13 Dicembre 2020

2020 – VALUTAZIONE DELLA PRODUZIONE DI BIOFILM DA PARTE DI DIFFERENTI SPECIE DI MICOPLASMI ISOLABILI IN SPECIE AVICOLE INDUSTRIALI

I micoplasmi sono microrganismi considerati “parassiti obbligati” degli epiteli del tratto respiratorio e genitourinario degli animali e dell’uomo (1). Sebbene non abbiano una parete cellulare e siano apparentemente danneggiabili dal sistema immunitario dell’ospite, i micoplasmi riescono a persistere nei siti di colonizzazione anche in presenza di una forte risposta infiammatoria. Inoltre, sono sensibili agli agenti atmosferici al di fuori dell’ospite. Tuttavia è stato osservato che alcuni micoplasmi sono in grado di sopravvivere in presenza di condizioni avverse, come superfici solide, e di persistere nell’ambiente più di quanto ci si aspetterebbe (2). Sappiamo che per altre specie batteriche la capacità di produrre biofilm, ovvero la creazione di strati di cellule batteriche circondate da una matrice polisaccaridica gel-like, è connessa con un’aumentata resistenza agli antibiotici e alla risposta immunitaria dell’ospite (3). Studi recenti hanno dimostrato che anche alcuni micoplasmi sono in grado di produrre biofilm e tale capacità potrebbe spiegare come mai le infezioni da micoplasmi siano difficili da trattare con gli antibiotici, oppure il motivo per cui diventino croniche (4). Inoltre, data l’insorgenza di nuovi focolai in assenza di connessioni epidemiologiche evidenti, è lecito pensare che tramite il biofilm i micoplasmi possano sopravvivere lontano dalla risposta immunitaria e gli agenti atmosferici per poi tornare a dare malattia in un secondo momento. Sono ben noti i problemi causati dalle micoplasmosi nell’industria avicola, sia in termini di perdite economiche che produttive. Studiare la capacità dei micoplasmi aviari di produrre biofilm potrebbe aiutare a comprendere meglio le enigmatiche dinamiche epidemiologiche che caratterizzano le micoplasmosi del settore avicolo. Tuttavia, non sono disponibili dati riguardanti tale capacità nei ceppi di campo. Per questo motivo abbiamo deciso di valutare se alcune specie di micoplasmi isolabili nel pollame fossero in grado di produrre biofilm.

13 Dicembre 2020

2020 – VALUTAZIONE DELL’EFFICACIA DI VACCINI INNOVATIVI PRODOTTI IN PIANTA E SVILUPPO DI UNA STRATEGIA DIVA PER LA MALATTIA DI GUMBORO

La malattia di Gumboro o bursite infettiva è una patologia causata da un virus a RNA a doppio filamento (dsRNA) appartenente alla famiglia Birnaviridae, genere Avibirnavirus (1). L’IBDV è un virus con capside a simmetria icosaedrica privo di envelope. Sono stati identificati due sierotipi di IBDV: il sierotipo 1 comprende ceppi classici, varianti e very virulent, mentre nel sierotipo 2 sono compresi esclusivamente ceppi apatogeni. Il virus della bursite infettiva colpisce i linfociti B immaturi presenti nella borsa di Fabrizio. Le conseguenze dell’infezione dipendono dal ceppo responsabile e dall’età dell’animale ma risultano in una immunosoppressione più o meno grave. I ceppi very virulent (vvIBDV), isolati inizialmente in Olanda nel 1986 e successivamente diffusi in quasi tutti i continenti, sono caratterizzati da elevata mortalità che può raggiungere il 5%-25% nei broiler e il 30%-70% nelle ovaiole. L’infezione causata dai ceppi very virulent causa lesioni pronunciate a carico di muscoli e borsa di Fabrizio associati a una rapida regressione del timo e della borsa a seguito dell’infezione (2). I ceppi vvIBDV sono contraddistinti da specifiche mutazioni nella regione ipervariabile della VP2 in posizione 222 (Ala), 256 (Ile) e 294 (Ile) che sembrano essere associate all’aumento di patogenicità. In Italia studi effettuati negli anni passati hanno mostrato la circolazione di ceppi classici, very virulent e più recentemente l’insorgenza di ceppi del genotipo ITA (G6) responsabili di una patologia a decorso subclinico (3)either classical or very virulent, retrieved from GenBank or previously reported in Italy, and from vaccine strains. The new genotype shows peculiar molecular characteristics in key positions of the VP2 hypervariable region, which affect charged or potentially glycosylated amino acids virtually associated with important changes in virus properties. Characterization of 41 IBDV strains detected in Italy between 2013 and 2014 showed that ITA is emergent in densely populated poultry areas of Italy, being 68% of the IBDV detections made during routine diagnostic activity over a two-year period, in spite of the immunity induced by large-scale vaccination. Four very virulent strains (DV86. In Italia la situazione epidemiologica ha portato quindi l’utilizzo diffuso della vaccinazione come mezzo di controllo per prevenire la mortalità e il calo delle performances dovuto all’infezione da IBDV . La maggior parte dei vaccini disponibili attualmente si basa su virus inattivati o vivi attenuati, questi ultimi, a seconda della tipologia, dotati di una virulenza residua più o meno marcata. Vaccini di nuova generazione basati su un vettore ricombinante in grado di esprimere la proteina VP2 dell’IBDV sono stati messi recentemente in commercio. Il capside del virus è infatti costituito in larga parte da proteine VP2 che assieme alle proteine VP3, presenti in misura minore, costituiscono i principali antigeni verso i quali viene sviluppata una risposta immunitaria a seguito dell’infezione. Gli anticorpi prodotti contro la proteina VP2 sono tuttavia i soli responsabili della neutralizzazione virale.
Lo scopo del presente studio è stato quello di verificare l’efficacia di vaccini innovativi basati sulla VP2 prodotti in piante e di sviluppare una strategia in grado di differenziare animali infetti da animali vaccinati con vaccini basati sulla VP2 (Differentiating Vaccinated from Infected Animals, DIVA).

13 Dicembre 2020

2020 – STUDIO DELLA REPLICAZIONE E TRASMISSIONE IN POLLO, TACCHINO E FARAONA DEL VIRUS DELL’INFLUENZA AVIARIA H5N8 AD ALTA PATOGENICITÀ RESPONSABILE DELL’EPIDEMIA EUROPEA 2019/20 E CONFRONTO CON IL VIRUS H5N8 DEL 2016/17

Il virus dell’influenza aviaria (IAV), ad oggi, è uno dei patogeni che maggiormente impattano in termini economici e sanitari il settore della produzione avicola. Gli IAV, a seconda delle caratteristiche genetiche e fenotipiche, si possono distinguere in virus a bassa patogenicità (LPAI) e in virus ad alta patogenicità (HPAI). I virus HPAI, a differenza dei virus LPAI, sono in grado diffondersi rapidamente a livello sistemico provocando nell’ospite una malattia con alti tassi di mortalità. Nell’ultimo ventennio la maggior parte delle epidemie di HPAI sono state causate da introduzioni multiple di virus presenti nella popolazioni di uccelli selvatici in allevamenti di avicoli domestici. In particolare a partire dal 2014 in Europa si registrano focolai causati da virus del sottotipo H5NX appartenenti lineaggio 2.3.4.4. Questi virus sono stati rilevati per la prima volta nel 2010 in Cina (Zhao et al., 2013), e la loro diffusione ha permesso di categorizzarli in due ulteriori sottogruppi denominati A (Buan-like: A/Broiler-duck/Korea/Buan2/2014) e B (A/breeder-duck/Korea/Gochang1/2014, Gochang-like). La prima introduzione in Europa del virus H5N8 2.3.4.4 risale al 2014 e si limitò ad alcuni focolai in Italia, Germania, Olanda e Regno Unito (Adlhoch et al., 2014), mentre a partire dal 2016/17 una seconda ondata diede inizio ad una pandemia che coinvolse assieme all’Europa, 48 paesi in tutto il mondo (http://www.oie.int/animal-health-in-the-world/update-on-avian-influenza/2018/). Dopo circa un anno di stasi, nel dicembre del 2019 un nuovo focolaio causato da un H5N8 HPAI (A/turkey/Poland/23/2019) in un allevamento di tacchini in Polonia segnò l’ingresso di un nuovo virus ad alta patogenicità in Europa. Ad oggi questo virus è responsabile di circa oltre 300 focolai in diverse nazioni dell’Europa Centro Orientale.  La grande capacità di ricombinazione e riassortimento genetico, predispone i virus influenzali ad acquisire caratteristiche patogenetiche sempre nuove e difficili da prevedere sulla base delle sole analisi filogenetiche. In questo senso diventa imprescindibile l’utilizzo di studi in vivo condotti in modelli animali per definire il fenotipo virale del virus emergente.  A tal fine, lo scopo di questo lavoro è quello di descrivere l’efficienza di trasmissione, il tessuto tropismo e la patogenesi del virus H5N8/19 e di compararlo con il virus H5N8/17 della precedente epidemia nel pollo, nel tacchino e nella faraona.

13 Dicembre 2020

2020 – INDAGINE SU STAPHYLOCOCCI METICILLINO-RESISTENTI ED ESCHERICHIA COLI PRODUTTORI DI ESBL IN UN ALLEVAMENTO INTENSIVO DI BROILER DEL NORD-OVEST ITALIA

L’antimicrobico-resistenza (AMR) è ad oggi uno dei più importanti problemi sanitari, per l’uomo, l’ambiente e gli animali, soprattutto d’allevamento [1]. Secondo la letteratura, i broiler italiani presentano un’alta percentuale di colonizzazione da Escherichia coli produttori di β-lattamasi a spettro esteso (ESBL-E. coli) (86%) [2]. Ad oggi pochi studi hanno invece documentato la presenza di Staphylococcus aureus meticillino-resistente (MRSA) nei polli [3,4,5], e ancor meno sono le ricerche che hanno indagato la presenza di altri staphylococci meticillino-resistenti (MRS). Fra questi, gli staphylococci coagulasi negativi (CoNS) sono considerati normali commensali delle narici e della cute degli avicoli [6,7], ma stanno gradualmente diventando sempre più importanti dal punto di vista clinico, nella patologia aviare e umana. Oltretutto, rappresentano un problema di salute pubblica poiché possono essere reservoir del gene mecA (responsabile della meticillino-resistenza), per specie più patogene, quali S. aureus [8,9]. Obbiettivo di questo studio è quello di indagare la presenza di MRS e ESBL-E. coli in broiler sani e nel loro ambiente, in un allevamento del Sud-est piemontese, in momenti diversi del ciclo produttivo (tempo 0, 5, e 27 giorni).

13 Dicembre 2020

2020 – INCIDENZA DELLA MORTALITÀ EMBRIONALE IN UOVA DA COVA SOTTOPOSTE A VACCINAZIONE “IN OVO”

Le produzioni avicole rivestono una quota importante nell’approvvigionamento di alimenti a livello mondiale, specialmente per quanto concerne la produzione di carne di pollo (122,5 milioni di tonnellate nel 2018) e di uova (74 milioni di tonnellate nel 2018). Per rispondere prontamente all’incremento dei consumi occorre ottimizzare gli indici produttivi a sostegno di migliori performance degli animali; è fondamentale un approccio integrato dove ogni fattore non venga considerato singolarmente in quanto opera in sinergia o antagonismo con gli altri. Gli interventi da attuare per migliorare le performance produttive riguardano prima di tutto il management degli animali e la loro nutrizione; se non ottimali, non favoriranno la manifestazione del potenziale genetico dei soggetti, punto altrettanto fondamentale e già ampiamente sfruttato nel comparto avicolo (Saeed et al., 2019). Indispensabile è l’attuazione contemporanea di piani di biosicurezza interni ed esterni, per prevenire l’ingresso e la diffusione di patologie in allevamento. Tra i vari momenti produttivi della filiera, l’incubazione delle uova è una fase molto delicata alla quale va dedicata particolare attenzione al fine di ottenere buone percentuali di schiusa e pulcini sani e vitali (Tullett, 2009). Diversi sono i fattori che possono influire sul successo in incubatoio e dipendono sia dall’allevamento di provenienza delle uova, che dal management prima e durante l’incubazione stessa. Negli ultimi anni si sta diffondendo la pratica della vaccinazione in ovo che permette un’immunizzazione precoce del pulcino e una standardizzazione della vaccinazione con minor uso di manodopera. Le apparecchiature utilizzate però, se non perfettamente regolate, così come la qualità dell’uovo da vaccinare, possono peggiorare le performance di schiusa causando gravi danni all’embrione. Il presente lavoro è stato sviluppato al fine di valutare l’effetto della vaccinazione in ovo sulla schiusa delle uova e sulla mortalità embrionale.
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